La Lettura, 21 luglio 2019
L’Europa di Carlo V
A Carlo V è intitolato un premio che la Fondazione di Yuste (località spagnola dove il sovrano morì) attribuisce a personalità che abbiano dato un significativo contributo all’unificazione europea. E più volte Carlo V è stato indicato come fautore dell’Europa unita; così lo presentò Charles de Gaulle, in un discorso del 1962. Tuttavia sul suo vasto impero l’Asburgo non riuscì a imporre un’unica legge, né un’unica fede; non sognava l’unità europea come altri l’avrebbero pensata quattrocento anni dopo, ma una monarchia universale alla quale mancava la Francia, e questa fu una delle cause del fallimento. Lo ricorda uno studioso autorevole, Geoffrey Parker, che propone la nuova biografia dell’Asburgo, Emperor, appena uscita da Yale University Press poche settimane dopo l’edizione spagnola, a cui seguirà la traduzione in italiano da Hoepli, a maggior ragione utile da leggere in questi giorni che hanno visto la prima donna, la tedesca Ursula von der Leyen, eletta alla guida della Commissione europea.
«Del sangue d’Austria e d’Aragon io veggio/ nascer sul Reno alla sinistra riva/ un principe…», così Ariosto nell’Orlando furiosocelebrava Carlo V, pastore di un solo ovile su cui non tramontava mai il sole. Cinquecento anni fa, il 28 giugno 1519, i sette principi elettori, persuasi dal denaro dei banchieri e dalle promesse, elessero Carlo d’Asburgo sovrano del Sacro Romano Impero. Grazie alla politica matrimoniale dei predecessori, che lui stesso proseguì, Carlo, dal 1516 primo re di Spagna con la madre Giovanna la Pazza, ereditò territori e popolazioni che comprendevano regioni che andavano dalle Americhe all’attuale Ungheria, dal Baltico al Mediterraneo: con lui il motto asburgico plus ultra (andare oltre) diventava realtà. Le colonne d’Ercole erano superate con la conquista del Nuovo Mondo, nonostante i pericoli di governare il primo impero globale a causa di incolmabili distanze geografiche e culturali.
Parker ha ritrovato le Istruzioni lasciate dal sovrano al figlio Filippo (futuro re di Spagna) nel 1543, giunte in un manoscritto portoghese conservato a Parigi, e ha esplorato una mole impressionante di documenti e opere che, nel corso dei secoli, hanno costruito l’immagine di Carlo V, sottolineandone le ambiguità di fondo e l’irresolutezza di fronte ai dilemmi che via via gli si presentavano. La propensione ad accettare stoicamente le tragedie in ambito privato (due figli morirono in fasce, uno alla nascita), considerate manifestazione della volontà di Dio, accompagna la risoluta volontà di vendicare le offese ricevute in pubblico: si scopre così che dietro al Sacco di Roma del 1527 c’era il piano di prendere prigioniero il Papa Medici, Clemente VII (colpevole di essersi alleato con il nemico degli Asburgo, Francesco I di Francia, catturato in precedenza e poi liberato da Carlo V), in modo da costringerlo alla pace.
Appassionato di caccia, frequentatore dei piaceri del cibo e non solo, Carlo fu rancoroso e diffidente. Pur avendo avuto consiglieri abili come Mercurino di Gattinara, si circondò di persone che non osavano mettere in discussione le sue decisioni. Eloquente uno dei ritratti di Tiziano, che lo rappresenta a cavallo vincitore, con uno sguardo stanco rivolto all’orizzonte dove si annuvolano e si raccolgono i suoi nemici: i luterani, il re di Francia, gli ottomani. Contro tutti questi l’imperatore ottenne importanti vittorie, che però si rivelarono effimere. Un esito deludente determinato da scelte e decisioni dell’imperatore (non ultimi i suoi disinvolti impegni finanziari) e degli altri attori.
Uscendo dallo schema di un’interpretazione superata che affida lo svolgersi della storia al singolo, Parker estende lo sguardo dall’imperatore a tutti coloro che lo circondavano per vederne le manovre, seguendo l’indicazione di un altro storico, Christopher Clark, che nei Sonnambuli illumina i processi che portarono alla Prima guerra mondiale, esaminando prima il come e poi il perché.
Carlo V iniziò la sua avventura con un trionfale Trono di Spade («O vinci, o muori»), ma la parabola si concluse con un addio malinconico: l’abdicazione; la divisione dei domini tra il fratello Ferdinando, a cui toccarono quelli imperiali, e il figlio Filippo, che ottenne quelli spagnoli; il ritiro nel monastero di Yuste, in Estremadura, dove morì nel 1558. Persino negli ultimi mesi cercò tuttavia di influire sulle decisioni politiche e fino alla fine dovette subire delusioni cocenti. Sospetti e veleni lo accompagneranno anche dopo l’ultimo respiro.
Parker non concede nulla alla leggenda. L’analisi di debolezze, fraintendimenti e ambizioni non altera il fascino della sua attenta narrazione biografica, arricchita con curiosi aneddoti dei testimoni. Lo storico sottopone a verifica tanti episodi, guidandoci anche nell’ultima vicenda, quella del corpo di Carlo V: è stata scoperta la causa della morte, la malaria, grazie all’analisi eseguita su un dito nel 2004. Segnato da fallimenti e compromessi, guerre, rivolte e repressioni, avendo percorso migliaia di chilometri (quaranta viaggi tra Europa e Africa), e pur potendo contare su ingenti risorse, poi divorate dai banchieri, l’Asburgo tergiversò fatalmente nell’azione verso l’Impero ottomano, che cinse d’assedio Vienna nel 1529 e continuò a imperversare, e verso i Papi, che rinviarono la convocazione del concilio auspicata da Carlo per ricomporre la frattura della cristianità.
Scelse il passato più che il presente e questo avvolse nelle ombre il suo regno, perché lasciò aperti molti fronti, non riuscendo a imporre soluzioni definitive e spesso consentendo ai suoi nemici il tempo per riprendersi dalle sconfitte. La sua non è però solo una storia di scacchi subiti: va riconosciuto all’Asburgo di essere riuscito nell’assoggettamento dell’America, imponendo viceré e cercando di controllare le ambizioni e le avidità dei conquistadores che comunque gli donarono territori ampi come nessun altro sovrano aveva mai avuto. Il peso della brutale conquista e dell’imposizione violenta della fede cristiana, mentre cominciavano gli arrivi degli schiavi africani, non impedì alla struttura costruita da Carlo V di resistere in America fino all’Ottocento.