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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Un ricordo di Guido Morselli

La prima volta che incontro Linda Terziroli andiamo dai morti. Varese, Cimitero monumentale di Giubiano. La lapide sembra la gola di Cerbero e le lettere incise sopra, «Guido Morselli», sembrano cadere da un momento all’altro. Forse chiedono di essere composte in altro modo. Linda viene spesso sulla tomba di Morselli. Gli parla. Probabilmente, gli chiede se c’è da fidarsi di me. Poco prima della partenza, parecchi mesi fa, ero in autostrada, mi fa una domanda frontale: «Ma tuo padre si è ucciso?». Si muore un po’ scrivendo la vita di un altro?, le chiedo io. «Scrivere una biografia per tanti anni ti porta a considerare la caducità della vita umana. Tutto è così vano, ti danni l’anima per costruire qualcosa che il tempo spazzerà via in (...)
(...) un soffio. Le mani di altri accarezzeranno o strapperanno quello che tu hai gelosamente cresciuto», mi scrive, qualche giorno fa.
LA PISTOLA E L’ASCIUGAMANO La vita di Guido Morselli, tra i grandi scrittori italiani del secondo ’900 il più irrequieto, l’inafferrabile, comincia con la sua morte, il 31 luglio 1973. La pistola, una Browning 7,65, è «la ragazza dall’occhio nero». Tornava quel giorno da Macugnaga, aveva soggiornato presso l’Hotel Milano con l’amica Maria Bruna. «Non ho rancore verso nessuno», lascia scritto, per la Questura di Varese. «Tutto è ugualmente inutile», aveva capito nel 1959. Di Morselli sorprende il desiderio di sparire prima ancora di uccidersi. «Alla mia morte nessun avviso ne sarà dato sui giornali, né mediante comunicazioni o partecipazioni personali. Il funerale avrà luogo nella maniera più semplice e disadorna, senza alcuna solennità o funzione ecclesiastica, senza fiori né corone o simili», scrive nel testamento, il 19 febbraio 1964. Colpisce un dettaglio, sottolineato da Linda. «Si avvolge il capo in un asciugamano pulito. Non vuole spargimento di sangue». Sembra un quadro di Caravaggio.
NON SOLO UN «CASO EDITORIALE» La prima volta che la incontro, mi rimprovera perché non conosco a menadito i romanzi di Morselli. Mi dice di rileggerli tutti, a partire da Incontro col comunista. Linda Terziroli, classe 1983, si laurea su Morselli e gli dedica la vita. Cura, dieci anni fa, le Lettere ritrovate (Nem, 2009), poi, per Bietti, Una rivolta e altri scritti (2013); nel 2016 Macchione edita una raccolta di saggi, Guido Morselli. Un Gattopardo del Nord, per la cura di Linda e del poeta Silvio Raffo. Insieme a Raffo, è l’ideatrice del Premio letterario intitolato a Morselli. Da anni, setacciando documenti, intervistando amici o parenti, lavora alla biografia di Morselli, ora finalmente pubblica come Un pacchetto di Gauloises (Castelvecchi, pagg. 284, euro 22). Dietro al caso editoriale, giace la statura dell’uomo.
UNO STILE IMPECCABILE Morselli era un uomo aristocraticamente rude, che mordeva la vita e non passava inosservato. Questo il guardaroba illustrato da un amico, il notaio «Bepi» Bortoluzzi: «Camicie di Oxford, con collo alto, senza svaso per il nodo della cravatta, anzi con i due capi, in quel punto vicini e paralleli, disposti per ricevere, senza generosità, cravatte fantasia sopra la spilla che li univa. Giacca di tweed, rosso ruggine, pantaloni di flanella, scarpe sportive con suola di para, adatte al suo andare elastico, con il corpo leggermente inclinato in avanti, a favorire il passo che iniziava sulla punta del piede e mai chiudeva sul tacco, giovanile, anche sui sessant’anni, quando scendeva a Bosto, lungo il Ninfontano, a tributare attenzione alla figlia di un casellante delle Nord. Era bello a suo modo e certamente fuori dal comune».
AMORI NE EBBE E SE NE VANTAVA Sapeva amare, Morselli, fascinoso scapolo, «poteva occuparsi simultaneamente di varie donne... ammiravo la sua disinvoltura», ricorda Maria Bruna Bassi. «Era in lui prepotente il bisogno di dare e ricevere amore; e amori ne ebbe tanti e se ne vantava... Era un grande sentimentale, un romantico, un esteta... Diceva che sarebbe rimasto volentieri tre mesi solo sulla luna. Anticonformista, antiborghese, alieno da pregiudizi e convenzioni banali».
«FACCIO IL MURATORE»... Dei rifiuti editoriali che hanno costellato la vita di Morselli si è detto tutto – grazie agli studi di Valentina Fortichiari – o quasi. Il niet di Vittorio Sereni – che tuttavia segnalò «a Foà il romanzo Roma senza papa, destinato a dare l’avvio, con Adelphi, al clamoroso caso editoriale, nel 1974, un anno esatto dalla sua morte» – perfino quello di Adelphi – a cui risulta in lettura, nel 1967, Un amore borghese -, l’indifferenza dell’editoria italiana omnia, su cui il cadavere di Morselli grava ancora come un grande rebus (come è possibile non essersi accorti prima della morte di un gigante che sarebbe stato pubblicato fin troppo, dopo?). Del 1965 è una lunga lettera di Italo Calvino, che si accanisce sul Comunista, «a smontarlo e rimontarlo... e mi ci sono arrabbiato». Nella risposta a Calvino, Morselli si fa l’autoritratto: «Per non essere, a Lei, del tutto uno sconosciuto: sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne».
PIERO CHIARA: DUELLO POSTUMO Piero Chiara non sopportava il successo postumo del concittadino. «Guido Morselli, del quale si è parlato a proposito delle sue sfortune editoriali (da vivo) e che ho conosciuto benissimo, era uomo difficile, carico d’orgoglio, convinto di una sua superiorità intellettuale destinata a restare intangibile da parte degli organi editoriali e sdegnosa d’ogni successo. Nulla gli sarebbe spiaciuto di più del mondan rumore, della popolarità. Anche se sotto sotto la desiderava, come uno che muore dalla voglia di pastasciutta o di barbera e non tocca che caviale e champagne». Così scrive, acido, in Sali e tabacchi (Mondadori, 1989). Eppure, nelle lettere inviate a Chiara, Morselli è tenero, «ti sono grato di avere per la prima volta portato alla ribalta del mondo le lettere varesine».
CONTRO LA CASTA DEI GIORNALISTI Aveva una passione per le lettere – tanto nessuno gli rispondeva. Il 10 agosto 1969, a Umberto Eco, dopo aver letto «nell’Espresso una Sua sottile, anche troppo!, analisi del giornalismo italiano», Morselli è vivacemente incazzato contro la «tribù o casta dei direttori, capi-redattori, segretari di redazioni, collaboratori fissi, – che fanno i giornali», «quella stampa che si lascia definire, o si autodefinisce, pubblica opinione. Quando di fatto il pubblico è considerato un intruso e un guastamestieri».
LETTERA A BENEDETTO CROCE Nel 1947 aveva scritto perfino a Benedetto Croce. Gli invia Realismo e fantasia, che «non vuol esser considerato come saggio scientifico, ma come espressione di una necessità, più profonda e diffusa». La risposta ci fu, come era buon costume: «La ringrazio del volume che ho già occhieggiato in alcune pagine e che leggerò quando avrò un po’ di tempo disponibile».
IL FRATELLO E IL DISASTRO AEREO «La voce – dicevano – assomigliava molto a quella di Guido». L’incontro con il fratello di Morselli, Mario, fa levitare la biografia in romanzo. L’autrice vola in Vermont, a Burlington. Mario Morselli, chimico, è negli Usa dal 1947, fa il prof. Vicino a Burlington si ritira Aleksandr Solzenicyn, spesso Mario Morselli pranza con Giorgio Bassani, «insegnante preso il Middlebury College». Alla morte del fratello, Mario si precipita all’aeroporto di Burlington. Deve imbarcarsi sul volo Delta Air Lines 723. «Aveva fatto troppo tardi». L’aereo si schianta. Tutti i passeggeri, 89, muoiono. «Con il taxi sono andato in Canada e sono partito con il primo volo da Montreal. L’aereo che avrei dovuto prendere si è inabissato con tutti i libri antichi, preziosi, che avevo raccolto, un’importante collezione, e che portavo in Italia dentro il grande, pesante baule».
NÉ PECORA, NÉ PASTORE I grandi scrittori giocano all’elusione, all’invisibilità. «Morselli non ebbe mai volontà o occasione di parlarmi di questo suo lavoro di narratore», ha detto Dante Isella. «Gli si avvicinò un suo conoscente – io immaginai che lo fosse – lo chiamò professor Morselli... Guido si irrigidì, non lo lasciò neppure finire: Lei ha sbagliato persona gli disse. Il pudore, la vergogna quasi del proprio sapere, rendersi conto che tutta la sua erudizione sembrava sterile...», ricorda il fratello Mario. Lo scrittore tende a uccidere la propria opera. «Nostro fratello non aveva voluto essere parte del gregge. Si era rifiutato di essere pecora o di essere pastore. Così i lupi lo poterono assalire sino alla fine, senza pietà». C’è chi è già morto al mondo, da decenni, e chiede, dopo morto, di essere scoperto, capito, baciato.