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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Quei quartieri vittime delle città che cambiano

Ci sono molti modi in cui il quartiere di una città può sparire. Può essere demolito per una trasformazione urbanistica ma può anche «gentrificarsi». Un’area un tempo popolare, calda, densa di relazioni umane e scambi diventa il set per abitanti di alto bordo, che a colpi di soldi sfrattano i vecchi inquilini dalle case un tempo popolari e le fanno diventare loft e abitazioni parquettate e climatizzate. Ecco un giro tra gli «uffici umanità smarrite» del mondo.
Bottonuto (Milano) Nessuno (o quasi) dei milanesi di oggi può ricordare questo quadrante di strade appena a Sud del Duomo, che riproduceva l’antico impianto romano e che venne demolito negli anni Trenta dello scorso secolo per modernizzare il cuore della città. Dove un tempo sorgevano la chiesa di San Giovanni in Laterano e un intrico di strade c’è oggi la metafisica piazza Diaz con i suoi uffici, le palestre di lusso, le catene di ristoranti hipster e i parcheggi sotterranei.
Spina di Borgo (Roma) Anche qui si tratta di una demolizione. Quella di un puzzle di strade tra Castel Sant’Angelo e piazza San Pietro, raso al suolo tra il 1936 e il 1950 per dotare la basilica pietrana di una scenografica prospettiva, garantita oggi dalla monumentale via della Conciliazione. Finirono in polvere chiese (come quella di San Giacomo a Scossacavalli), l’ospedale San Carlo, palazzi storici e centinaia di abitazioni.
Josefov (Praga) È l’antico ghetto della capitale ceca, dalla storia straordinaria. Nel XVI secolo era un labirinto brulicante di persone e del Golem, leggendaria creatura dalla mostruosa forza della mitologia ebraica «reinventata» dallo scrittore Gustav Meyrinck. Da Josefov fino al 1784 gli ebrei potevano uscire solo indossando un cappello giallo, poi arrivarono leggi più liberali e nel 1893 la ristrutturazione dell’area, oggi impregnata di storia (mozzafiato il cimitero ebraico) ma pesantemente turisticizzato.
Les Halles (Parigi) Erano i mercati generali di Parigi attorno ai quali brulicava una umanità vibrante. Progettati a metà del XIX secolo da Victor Baltard, i padiglioni liberty in ferro e vetro furono demoliti nel 1971. Il mercato fu trasferito a Rungis e quella grande area rettangolare tra Saint Eustache e Beaubourg è da allora uno spiazzo senza anima e senza pace: sotto un centro commerciale, sopra degli anonimi giardini.
Mecca Flats (Chicago) Enorme palazzo costruito per i visitatori della grande esposizione del 1893, divenne poi un enorme «condominio» con pretese di lusso, quindi la culla della Chicago nera e ribelle. Luogo vibrante e fecondo distrutto nel 1952, dopo una lunga lotta dei residenti per tenerlo in vita, per costruire la S.R. Crown Hall di Mies van den Rohe, un capolavoro dell’architettura.
West 99th Street (New York City) Quadrante di Manhattan a ovest di Central Park, fu all’inizio dello scorso secolo una piccola Harlem, un quartiere vivace e «musicale» che nel 1951 fu dichiarato «slum»: molti edifici furono abbattuti e sostituiti da una speculazione edilizia di lusso.
St. John’s Ward (Toronto) Un vero melting pot etnico nel cuore della più grande città canadese: irlandesi, cinesi, italiani, africani, ebrei convivevano in questo quartiere anomalo, avversato dalle autorità locali che cercarono di bonificarlo e ci riuscirono a partire dal 1946. Oggi è un quartiere privo di personaità.
Laoximen (Shanghai) È il più recente e clamoroso caso di gentrificazione. Case basse e stradine strette, uno scenario distopico in una città di 26,3 milioni di abitanti e di grattacieli. E infatti Laoximen arretra di fronte all’urbalistica muscolare. Chi vuol vedere un pezzo della vecchia Cina può fare ancora in tempo. Sbrigatevi, però.