Il Messaggero, 21 luglio 2019
I 40 anni del Walkman
Nel 1979 la musica fece un balzo evolutivo inaspettato, come quello che separa una lucertola da Godzilla. Nessuno fino ad allora – uscì sul mercato il primo luglio – aveva mai pensato di poter ascoltare a massimo volume Whole lotta love dei Led Zeppelin durante una lezione scolastica o mentre faceva fitness nel parco, creando un piccolo mondo dove godersi una colonna sonora personalizzata, come in un film. Era il giorno in cui Sony lanciò sul mercato il Walkman TPS-L2, il primo lettore portatile destinato a rivoluzionare il modo di fruire la musica, gettando le fondamenta per le piattaforme di streaming attuali, che offrono grosso modo la stessa funzione utilizzando tecnologie digitali e dispositivi iper sofisticati. Inizialmente fu criticato perché non aveva la possibilità di registrare, un cavillo tecnico spazzato via da un’immagine che diede la misura del fenomeno: George Michael ad occhi chiusi con cuffiette e Walkman nella fondina. Da quel momento la musica usciva dalle case ed entrava in tasca, squagliava il vinile e iniziava ad avere una connotazione social, con un fiorire di playlist incise amatorialmente che circolavano tra gruppi di appassionati. L’utopia prese corpo, liberando la musica dai vincoli fisici e anche – un po’ – da quelli commerciali.
SVOLTA HI TECHIl Walkman non fu il primo lettore portatile di cassette, Philips aveva lanciato sul mercato i suoi modelli già nel ’66, ma erano pensati per registrare una riunione di lavoro e entrare in una valigetta, non per ascoltare musica con le cuffie. La scintilla scaturì da un prototipo realizzato per il co-fondatore della Sony Ibuka Masaru, che amava poter ascoltare la sua musica preferita nei lunghi viaggi intercontinentali senza dover ricorrere a un voluminoso registratore. L’intuizione che orientò la ricerca si basava sullo sviluppo della qualità di ascolto in cuffia a scapito delle componenti dedicate alla registrazione, costose e ingombranti.
DISPOSITIVI INDOSSABILIIn questo modo si riuscì a comprimere in una scocca di alluminio poco più grande della cassetta audio tutta la tecnologia necessaria. Di fatto il Walkman fu il primo vero prodotto hi-tech da indossare che diede una spinta decisiva verso la miniaturizzazione della tecnologia, un campo dove i giapponesi eccellevano, affascinati dalla possibilità di rimpicciolire le cose per dominarle meglio. Nonostante le funzioni limitate, aveva la possibilità di collegare due cuffie con pin da 3,5 ancora in uso nei più recenti smartphone con la possibilità di condividere l’ascolto con qualcun’altro. E per passare al lato B del disco bisognava girare meccanicamente la cassetta nel lettore e riavvolgere il nastro (nell’82 arrivò anche la versione autoreverse). L’innovazione investì anche le cuffie, ridotte nel peso di oltre 10 volte e con una qualità paragonabile alle più costose versioni in commercio, nel migliore dei casi, delle gigantesche appendici che vi facevano apparire come il pilota di un Tupolev. Le cuffie del Walkman avevano un design lieve ed elegante, che si combinava bene con qualsiasi outfit senza sembrare un gadget imbarazzante.
Se per la grande massa di consumatori il Walkman fu subito un indispensabile accessorio trendy, non fu altrettanto eccitante per l’industria discografica. Onesti cittadini improvvisamente si trasformavano in pirati seriali. Bastava acquistare un po’ di cassette vergini e avere l’amico con una robusta collezione di dischi per scardinare il forziere blindato della musica. Se eri quello che esibiva la cassetta di Boy degli U2 prima che diventassero gli U2 avevi la classe ai tuoi piedi ed eri più figo di David Guetta. La caccia alla cattura del disco fresco di incisione, o ancora meglio, della registrazione illegale ad un concerto, diventavano scalpi da esibire nella propria rastrelliera di cassette. Una forma di feticismo acustico che definiva chi eravamo, come un capo di abbigliamento, dividendoci in fazioni e caste sociali.
La diffusione clandestina dei mixtape svolse anche un eccellente lavoro di selezione e promozione. Molte autoproduzioni spalancarono le porte del successo a gruppi come Rem o The Cure, che si fecero conoscere distribuendo un nastro amatoriale dopo i concerti nei pub. Si apriva la possibilità di tentare il successo a partire dal basso. In certi casi l’incisione pirata era addirittura un valore aggiunto, perfettamente aderente ad una filosofia iconoclasta, sposata intrinsecamente dal movimento punk e hardcore in grande ascesa tra i giovani.
MARKETING E ADVERTISINGIl Walkman ha recitato un ruolo dominante anche nell’evoluzione del linguaggio pubblicitario. I creativi di McCann-Erikson intuirono che dovevano vendere uno stile di vita, non una scatoletta di alluminio. Il primo slogan fu: C’è una rivoluzione nelle strade. Il visual aveva come protagonisti voi e la vostra estensione hi tech, che vi rendeva decisamente cool e permetteva di scegliere di diventare una versione migliore di se stessi.
L’ultima lezione che ci lascia il Walkman è legata alla sua eclissi, iniziata già nel passaggio da musicassette a cd, con la versione portatile che denunciava problemi di lettura causati dal laser che non tollerava sbalzi e movimenti. Era l’inizio della fine. Sony non seppe interpretare i tempi e ci pensò Steve Jobs, con il primo iPod a mettere la pietra tombale nel 2001, insegnando ai giapponesi che non si è leader per sempre, neanche se sei stato il padre della rivoluzione.