il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2019
L’addio a Francesco Saverio Borrelli del pool Mani Pulite
Francesco Saverio Borrelli (1930-2019) è nato a Napoli.
“È morto Borrelli”. Nel tribunale deserto di sabato mattina, il cancelliere ascolta la notizia e si copre il viso con le mani. Sono le 10.41 di ieri al quarto piano del grande parallelepipedo di pietra del Tribunale di Milano. L’ufficio di Francesco Saverio Borrelli è nella stanza accanto, pare di potercelo ancora trovare bussando alla pesante porta di legno. Di sentire i passi leggeri, ma decisi che per 46 anni sono risuonati negli interminabili corridoi. Non si muove foglia nel palazzone, eppure qualcosa è cambiato: non c’è più Borrelli, il procuratore degli anni di Mani Pulite. L’uomo, prima che il magistrato, che era nato a Napoli nel 1930, ed era arrivato a Milano nel 1955. Una vita in questo palazzo. Magistrato come il nonno, il padre e il figlio Andrea.
Un addio che molti sentivano imminente, da quando lo scorso 8 luglio la figlia Federica aveva lasciato su Facebook un messaggio senza speranze: “Non hai mai smesso di trasmettere tutto ciò che per te valeva la pena trasmettere. Nel mio momento più buio ci sei stato”. Parole che ricordavano il magistrato, ma anche il padre sulla “bicicletta azzurra” con le mani strette al manubrio “per non cadere, non sbilanciarsi”. E poi i giorni dell’asilo, le “prime versioni di latino tradotte insieme” con “il tuo aiuto magico per il maledetto Isocrate e per i filosofi greci”, le “gite sui monti della nostra Courmayeur”.
Erano settimane che l’ex magistrato lottava contro la malattia. Accanto a lui, nell’hospice Floriani dell’Istituto Nazionale Tumori, c’erano la moglie Maria Laura e i figli Andrea e Federica. In tanti temevano l’arrivo della notizia, ma adesso è successo: nelle stanze si sentono i telefoni squillare. Incontri i colleghi di quegli anni, come Francesco Greco, che nelle foto dei giorni più caldi era accanto al procuratore e oggi ha preso il suo posto alla guida dell’ufficio: “Era un capo che sapeva proteggere i suoi uomini, una persona che ha fatto la storia d’Italia”. C’è chi corre in Tribunale, senza nemmeno sapere bene perché, e cammina davanti alle porte – una accanto all’altra – di Borrelli e Gerardo D’Ambrosio (morto nel 2014), così uniti nel modo di sentire la loro funzione e così diversi di carattere. Colleghi e amici, spesso li vedevi incontrarsi per scambiarsi consigli.
Altri accorrono all’Istituto Tumori: “Faceva il magistrato tenendo conto della dignità di tutte le persone, sia degli imputati che delle vittime”, racconta Gherardo Colombo. Paolo Ielo, il giudice ragazzino del pool, oggi è alla Procura di Roma: “È un dolore grande”. E poi c’è Armando Spataro, voce di quella procura in prima linea contro corruzione e terrorismo: “La sua cultura giuridica è nota. Ma lo ricordo soprattutto per le sue doti umane, perché era capace di seguire tutti, i più giovani e i più anziani, di affrontare i problemi tecnici e quelli personali”. Sono i magistrati che trovi nelle foto di quei giorni ancora appese in alcune stanze del tribunale. Tutti insieme, i pm della squadra di Borrelli, ieri hanno scritto una lettera: “Era il nostro capo. Il ‘vero capo’ non ha bisogno di apparire. Lo è. E lui lo era. Quando entravi nel suo ufficio con un problema, ne uscivi con una soluzione. Quando avevi sbagliato qualcosa, te ne parlava con quel modo garbato per cui alla fine eri tu stesso a riconoscere la ‘cappellata’. Salvo poi, davanti al mondo, metterci lui la faccia. Appartenere alla Procura di Milano era come stare in una grande orchestra, ognuno col suo strumento, diverso dagli altri, ma essenziale. E ovviamente con un direttore che ti faceva sentire utile, anche se non eri il primo violino”.
Parlano amici e colleghi, ma anche chi quella stagione la vide dall’altra parte dell’aula: gli avvocati e i parenti degli imputati. Come Stefania Craxi, figlia di Bettino, che fu travolto dal ciclone Mani Pulite: “Con Borrelli viene a mancare uno dei protagonisti principali di una stagione infausta della nostra storia repubblicana”, commenta Craxi, oggi senatrice di Forza Italia e vicepresidente della commissione Affari esteri. Aggiunge: “A dispetto di molte comparse del tempo – compresi taluni suoi compagni magistrati assurti a eroi e gettatisi nell’agone politico alla ricerca di incarichi pubblici – Borrelli scelse con coerenza di vestire solo e sempre la toga”. Bobo Craxi, l’altro figlio di Bettino, arriva a dire che Borrelli “guidò un sovvertimento istituzionale”. Un colpo di Stato.
Interviene anche Stefano Cagliari, figlio di Gabriele, il presidente dell’Eni che dopo essere stato accusato di aver autorizzato il pagamento di tangenti fu arrestato e si uccise in carcere nel 1993: “Quando una persona manca è sempre un dispiacere. Non ho niente contro Borrelli, anche se ritengo abbia fatto molti danni a questo Paese”. L’avvocato Carlo Taormina, difensore all’epoca di tanti imputati eccellenti (tra cui Craxi) invoca la giustizia divina: “Borrelli era un gran signore assai rispettoso nella forma nei confronti degli avvocati. Non credo che volesse quanto accaduto a Craxi ma, una volta avallato lo scempio delle regole processuali che determinò persino suicidi, si è fatto scavalcare sostanzialmente abdicando al suo ruolo di capo della Procura. La giustizia divina saprà dire la sua”.
Sono passati più di 25 anni da quei giorni. Oggi il presidente della Repubblica è Sergio Matterella: “Magistrato di altissimo valore, impegnato per l’affermazione della supremazia e del rispetto della legge, Borrelli ha servito con fedeltà la Repubblica”. Omaggi anche da parte del presidente della Camera Roberto Fico: “Ha scritto una parte importante della nostra storia”. E, più timido, dalla berlusconiana presidente del Senato Elisabetta Casellati: “Ha avuto incarichi di prestigio ed estrema delicatezza”.
Milano, fuori dalle finestre di Palazzo di giustizia, ieri era svuotata dall’estate, oppressa dal cielo bianco, caliginoso. Pareva non accorgersi di nulla. Ma non sarebbe la stessa città se non ci fosse stato Borrelli.
E domani lo ricorderà nella camera ardente in Tribunale. Proprio nell’Aula Magna dove nel 2002 Borrelli pronunciò le parole che tutti ricordano: “Resistere, resistere, resistere come su un’irrinunciabile linea del Piave”.