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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Ritratto di Anjelica Huston

C’è qualcosa di indecifrabile negli occhi di Anjelica Huston, e quando la incontri di persona ti colpisce il contrasto tra il fisico imponente e lo sguardo seducente, nel quale compaiono, improvvise, le ferite dei dolori di cui è stata disseminata la sua vita. Il volto ha lineamenti forti, ma gli occhi hanno il dono del sorriso e l’intelligenza dell’auto-ironia. È una donna dalle passioni impetuose, Anjelica, e non ha mai avuto paura dei sentimenti. Una volta mi mostrò una statua di legno regalata dal padre John all’epoca di Sotto il Vulcano: «Guarda la raffinatezza con cui è stata cesellata da uno scultore messicano di cui non sappiamo nulla», mi disse, «la fantasia della policromia, la sinuosità delle forme», ma poi, improvvisamente concluse: Dad, papà. Lo ha amato molto quel padre pieno di talento e di donne, carismatico e adultero, rivoluzionario e conservatore, troppo assente e troppo presente, ed è grazie ai suoi insegnamenti che si sente legata in maniera imprescindibile all’Irlanda, paese dal quale provengono gli antenati. «Ma alcuni provengono anche dalla Scozia, aggiunge, «e per quanto mi riguarda anche dall’Italia»: veniva infatti dal nostro paese la madre Enrica Soma, una ballerina piena di talento a cui assomiglia in maniera impressionante. Ricky, come la chiamavano tutti, era la quarta moglie del regista e la figlia di Tony Soma, il proprietario di un ristorante nel quale mangiavano Dorothy Parker, George Balanchine e David O’Selznick: sin da piccola Anjelica è stata circondata da cultura, talento e glamour. È molto orgogliosa delle proprie origini europee, ma prova un senso di riconoscenza per il paese che ha accolto la famiglia, e parla di sé come una donna di Santa Monica, il quartiere di Los Angeles dove vive in una splendida villa. È ugualmente fiera del fatto che tre generazioni consecutive di Huston abbiano ricevuto l’oscar, e racconta che avrebbe dovuto interpretare Giulietta nell’adattamento shakespeariano di Franco Zeffirelli, ma fu il padre a opporsi, scritturandola nel suo Di pari passo con l’amore e la morte. All’epoca non la prese bene, ma ora scherza sul fatto che il regista italiano avesse pensato a lei per quel ruolo. «Non so cosa vedesse in me Zeffirelli, e non riesco a immaginare un regista maggiormente diverso da mio padre» racconta, «e in quel momento la mia carriera ha preso una strada dalla quale non sono mai uscita». Il padre non era entusiasta che facesse la modella, e l’aveva avvicinata al cinema filmando le sue mani al posto di quelle di Deborah Kerr in Casino Royale. All’epoca gli Huston vivevano in Inghilterra, e Anjelica aveva una relazione con James Fox, dal quale apprese i segreti delle interpretazioni shakespeariane. Ma quando parla di quel periodo gli occhi si riempiono nuovamente di malinconia, perché sono gli stessi anni in cui la mamma perse la vita in un incidente automobilistico. John la portò con sé negli Stati Uniti, dove trovò nuove compagne e una quinta moglie, mentre Anjelica riprese a fare la modella lavorando con Richard Avedon e poi con Bob Richardson, con il quale iniziò una tumultuosa storia d’amore. Il fotografo aveva 23 anni più di lei ed era affetto da schizofrenia: fu lei ad accudirlo e proteggerlo in ogni modo, ma poi non riuscì a nulla di fronte a un carattere autodistruttivo e al consumo di alcool e droga. 
All’epoca lavorava saltuariamente come attrice, quasi avesse il complesso di avere uno dei nomi più aristocratici di Hollywood: nessuno si stupì quando iniziò una relazione con Jack Nicholson. Fu una storia d’amore lunga e appassionata, ma non mancarono i momenti bui: è nella villa in cui abitavano che avvenne lo stupro di una tredicenne ad opera di Roman Polanski, amico personale di Nicholson dai tempi di Chinatown. Anjelica non aveva mai amato il regista e cercava di vederlo il meno possibile: quella sera il suo compagno era assente, e lei si era ritirata in un’altra ala della proprietà. Sebbene non fosse minimamente coinvolta venne chiamata a testimoniare, e per molto tempo il suo nome venne associato a quell’orribile vicenda. La storia d’amore terminò dolorosamente molti anni dopo, quando Nicholson le regalò un braccialetto di perle che Frank Sinatra aveva dato ad Ava Gardner e confessò che aspettava una figlia da una donna molto più giovane. Ma in quegli stessi anni giunsero anche molte gratificazioni: l’oscar per L’onore dei Prizzi, nel quale duettò proprio con Nicholson con la regia del padre John, il trionfo commerciale con La Famiglia Adams, e poi quello artistico con I Morti, ancora una volta con il padre: «Papà ha scelto un capolavoro di Joyce per dare l’addio al cinema, alla sua terra e alla sua stessa vita. Non esiste film che ami di più». Oggi sorride quando viene definita un’icona di molti registi, il primo dei quali è certamente Wes Anderson, che l’ha voluta con sé in tre film, o Woody Allen, che in Crimini e Misfatti le ha affidato il ruolo dell’amante appassionata che viene fatta uccidere da Martin Landau, preoccupato di preservare la propria rispettabilità. La collaborazione è continuata in Misterioso omicidio a Manhattan, girato dopo The Grifters, il film di Stephen Frears per cui rinunciò al ruolo da protagonista in Misery. Sono gli anni in cui i migliori registi americani si accorgono del suo talento, scommettendo su un fisico estremamente diverso dagli standard hollywoodiani: Coppola la chiama per Giardini di pietra, Mazursky per Nemici, una storia d’amore, e Clint Eastwood in Blood Work. All’inizio era scettica di lavorare con il regista che aveva ritratto spietatamente il padre in Cacciatore Bianco Cuore Nero, ma conosceva troppo bene il cinema per non capirne la grandezza e troppo bene la vita per sapere che quel ritratto non era lontano dalla realtà. È il periodo in cui decide di cimentarsi nella regia: «Penseranno tutti che ho un cognome impegnativo, ma la prima lezione che ho imparato da mio padre è stata non aver paura». I suoi film sono impeccabili e pieni di passione, e lei, quasi a schernirsi, aggiunge «l’età non è qualcosa da invidiare, in America. Non è affatto applaudita: devi usare il cervello e un nuovo lavoro è obbligatorio». Oggi parla di sé come «una zingara» e del suo lavoro nel cinema come della testimonianza di una tradizione, citando, oltre al padre, i fratelli Tony e Danny e il nonno Walter, straordinario protagonista del Tesoro della Sierra Madre. Dopo tormenti e delusioni, l’amore della maturità arriva con lo scultore messicano Robert Graham. Rimangono insieme quasi vent’anni, condividendo ogni cosa a partire dall’amore per l’arte all’impegno politico, fin quando lui soccombe a una malattia inguaribile. Anjelica lo ricorda in primo luogo con gratitudine, e il sorriso si riempie di gioia quando dice «ho avuto una vita ricca» ricordando che ha recitato un piccolo ruolo insieme a lei nelle Avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes Anderson: «Non c’è niente più bello di giocare con la persona che ami». Poi confida che il suo sogno è quello di realizzare un film su Maud Gonne, la suffragetta irlandese musa di William Butler Yeats: «Non sono nomi che dicano molto a chi comanda oggi a Hollywood, ma il mio sangue mi ha insegnato a non mollare».