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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Intervista a Claudia Cardinale

«Sa che ho appena chiesto il passaporto tunisino?...». Sotto la casa di Claudia Cardinale, sul Lungosenna si menano gli ambientalisti e la polizia va di spray al peperoncino. Le sirene sono ormai un’abitudine parigina – cortei verdi o gilet gialli, bandiere nere o autobotti rosse – e lei si fa la prima risata di quest’intervista piena di risate. Sedute a una brasserie, fra spremute e sigarette, la divina Claudia è spensierata e ride tanto («mia mamma mi diceva che è per questo che non mi si vedono le rughe!») e la figlia Claudia («io per la verità volevo chiamarla Ania, ma Pasquale Squitieri disse no: si chiamerà Claudia, come se tu mi avessi sposato!...») è pensierosa e ride meno, spesso correggendo, bacchettando, sostituendo la mamma nelle risposte: «A Tunisi o a Parigi, alle sirene ci si abitua. S’impara a convivere con queste cose. Ma io per la verità non mi agito mai, sono sempre stata un po’ pazza... (risata). Mio papà era ingegnere ferroviario, da bambina abitavo vicino alle rotaie e aspettavo che il treno partisse, per saltarci sopra. Poi i macchinisti andavano a dirglielo: guarda che tua figlia è matta...! (risata). L’incendio di Notre-Dame è stato nel giorno del mio compleanno: dovevo cenare fuori, mi sono affacciata alla finestra e ho visto il fuoco. Allora sono andata là. E sono rimasta a guardare le fiamme tutta la sera. Un’immagine apocalittica. I ponti bloccati, una folla pazzesca, la gente che piangeva». 
Si sente più parigina, siciliana o tunisina? 
«Mezza tunisina e mezza italiana. Da ragazzina dovetti imparare l’italiano, Tunisi era francofona, a scuola si studiava l’inglese e in famiglia parlavano siciliano per non farsi capire da noi figli. Qui a Parigi sono sempre stata bene, la gente mi saluta per strada senza pressare e il rapporto con le celebrità è molto diverso: in Italia ho cambiato tre indirizzi, pur di liberarmi dei paparazzi. Tutti sapevano dove stavo, che facevo. Una volta mi suonò alla porta un tizio, arrivato da New York, che mi proponeva di convivere: diedi 50 mila lire al tassista e lo rispedii all’aeroporto (risata). Qui invece sono più discreti: un giorno, un signore m’ha avvicinata timido per dirmi che da giovane era innamorato di me, ma siccome non poteva sperare, aveva cercato per tutta la Francia una che mi somigliasse e l’aveva sposata...! (risata). Questa casa parigina m’è costata una fortuna: apparteneva alla famiglia reale, all’inizio non riuscivo neanche a pagarla. Ma ha le colonne e sa che faccio? Metto la musica e ci ballo intorno! Ha pure davanti la Senna: a volte ci sono dei maschi che si piazzano sotto il ponte, mezzi nudi, pensano che nessuno li veda e non sanno che abito lì, allora prendo il binocolo e li guardo un po’... (risata). Sì, questa zona mi piace, perché vedo l’acqua. Com’era a Tunisi, da ragazzina». 
Col passaporto tunisino, tornerà a vivere là?
«Ho appena girato un film in cui faccio la nonna. Avevo paura che mi volessero coi capelli bianchi. E invece no! (risata). Lo scopo è mostrare come un tempo in Tunisia convivessero musulmani, cristiani, ebrei. E noi italiani: ci chiamavano la piccola Sicilia. La mia famiglia veniva dall’Isola delle Femmine – laggiù si chiamano ancora tutti Cardinale – e i nostri vicini erano russi scappati dalla Rivoluzione, maltesi, greci. Sa che alla Goulette fanno ancora le processioni con la Madonna e partecipano anche gli islamici? Sono quelle, le mie origini. Quando ci vado, sto benissimo. Sono la figlia di tutti, non pago mai nulla. Sono anche andata a rivedere la mia casa». 
Che cos’ha trovato? 
«Ho bussato. Una donna m’ha risposto in arabo: non posso aprire, sto facendo la doccia. E io: no, eddài, fammi entrare... È tutto uguale, non hanno mai fatto un lavoro! La mia camera, i bagni, la cucina: le stesse cose. Mi sono presa qualche oggetto. Quella che è cambiata, è la cattedrale di Cartagine dove ho fatto la prima comunione: sconsacrata. Andai a rivederla con mia mamma – perché mio papà Francesco non è mai più voluto tornare in Tunisia – e scoprii che dentro ci facevano i corsi di danza del ventre. Non c’è nemmeno il cimitero, dov’erano sepolti i nonni: spianato ai tempi di Ben Ali. Non so dove hanno messo le salme». 
Negli anni 70, lei non lavorava più: il produttore Franco Cristaldi voleva farle pagare d’essersene andata col regista Squitieri. E la rinascita fu sempre nella sua Tunisia...
«Zeffirelli andò là a girare il Gesù e fu il primo a ridarmi un ruolo: guarda caso, l’adultera! (risata). Il mio ritorno dopo due anni. Angelo Frontoni mi scattò foto bellissime con Pasquale. Liberatorie. Perché Cristaldi aveva bloccato tutto, messo un veto sul mio nome. Fu un momento molto delicato. Avevo scoperto di non avere un soldo in banca, i miei genitori erano scandalizzati: ma come, con tutti i film che hai fatto?... È che venivo retribuita come una dipendente, quattro titoli l’anno, lo stipendio mensile. Stop. Cristaldi programmava tutto, all’americana. Era anche innamorato pazzo di me, anche se io non ci sono mai cascata, eh? (risata). Le case, i gioielli, non pagavo nulla per carità, ma non vedevo i soldi che gli facevo fare. È chiaro che c’era uno sfruttamento. Se oggi le attrici sono ancora sottopagate rispetto ai maschi, allora era anche peggio. Io ruppi il giocattolo. Oggi coi figli di Cristaldi i rapporti sono un po’ così: c’è stato un documentario su di me, non mi hanno ceduto i diritti... Pazienza». 
L’isolamento la fece soffrire? 
«Fu dura. Pasquale era uno che andava in tv e diceva cose pazzesche. Ci mise anni a trovare chi finanziasse Claretta. Ripeteva: ci sarà un cavolo di produttore che odia Cristaldi... Non mi stupisco che alla fine l’abbiano ucciso». 
Ucciso? 
«Pasquale ha ricevuto una grandissima ingiustizia. Due anni fa, la sua morte è stata un trauma. Ma se non fosse stato per me, sarebbe morto anni prima. Perché gli avevano tolto non solo la pensione da senatore di An, una cosa che di questi tempi si può anche capire, ma pure l’assistenza sanitaria. Dopo una certa età, in Italia non puoi più farti un’assicurazione medica. Terribile. Aveva un tumore, era senza un soldo e senza copertura, l’ho aiutato io. Lui era complicato, in lite con tutti. Qualcuno disse: va beh, ma chi se ne frega se muore... Una cosa inqualificabile, era proprio preso di mira. Molti lo snobbavano. Per ragioni ideologiche». 
Lei invece ha la casa piena di premi, la invitano ovunque...
«Ho 81 anni e ho fatto 181 film. Più della Loren e della Lollobrigida, per dire. E ho ancora una vita piena. In America, non sa quanto. In Tunisia, hanno appena fatto una mostra su di me. E poi sono ambasciatrice dell’Unesco, mi occupo di Amnesty, di bambini in Cambogia, d’omofobia, di Aids... M’invitano dappertutto. Ogni tanto succedono cose allucinanti. Un piccolo museo nel 2013 m’ha chiesto in prestito il David che vinsi per Il giorno della civetta. Non me l’hanno più restituito! (risata). Ho dovuto mettere di mezzo gli avvocati». 
E l’asta dei suoi 130 abiti? 
«Me l’ha appena organizzata Sotheby’s qui a Parigi. Tutte cose degli anni 60, quando vestivo Capucci, Balestra, Nina Ricci... Li tenevo a Roma, non m’importava niente, io metto Armani da quando si chiamava solo Mani. Poi però i miei figli si sono accorti che rischiavano di rovinarsi: c’è la pelliccia di paillettes presa per gli Oscar, gli abiti di scena del Magnifico cornuto... Un vestito del Gattopardo: pesantissimo, faceva male, mi stringeva così tanto che Alain Delon riusciva a cingermi la vita con le mani. Visconti una sera entrò in camerino e vide che sanguinavo. “Claudia, ma perché non me l’hai detto che soffrivi?”. “Perché a soffrire non sono io, è Angelica”, il mio personaggio… (risata)». 
Delon, Belmondo, la Bardot: vi vedete? 
«Poco. Quando Delon ha avuto il premio a Cannes, era in Svizzera e m’ha chiamato: voglio che tu venga con me. La Bardot, l’adoravo. Prima ci sentivamo sempre, ma da quando sta con un simpatizzante di Le Pen, no, mi spiace, non posso più: al telefono risponde sempre lui! Il fatto è che, del mondo del cinema, non me ne frega niente: da ragazzina volevo essere un’esploratrice, era mia sorella Blanche che sperava di fare l’attrice. Io stavo alla larga perché non mi andava di rubarle il sogno. Oggi sto alla larga per rimanere con figlia e nipoti». 
A Hollywood era piena d’amici...
«Il più grande, Rock Hudson. Allora c’era l’odio contro i gay, io fingevo d’essere la sua fidanzata: prese l’Aids da un inglese, mi chiamò, mi volle vicino prima di morire. Marlon Brando mi corteggiava, una sera bussò alla mia porta: “Io sono ariete come te, facciamo l’amore?”. Lo buttai fuori. Poi mi dissi che ero stata veramente scema: ma perché l’avevo cacciato?... (risata). Rita Hayworth mi fece piangere: venne nella mia roulotte, mi guardò, disse che anche lei da giovane era stata bella. Non accettava d’invecchiare (io no, io ho imparato a tenermi tutte le rughe!...). John Wayne invece aveva una mano doppia, una stretta pazzesca. E un grande cuore. Sul set usava una sedia enorme, col nome, mentre io ero una ragazzina e avevo un anonimo seggiolino. Allora me ne regalò una uguale, con la scritta “Claudia Cardinale”. Ce l’ho ancora». 
Oggi può dirlo: con Marcello Mastroianni fu amore?
«Ma no! Una volta c’invitano a una trasmissione tv. Io arrivo e lui è con Catherine Deneuve. Si alza e mi dice: guarda che io ero innamorato di te, ma tu non ci hai mai creduto... Da quel giorno, la Deneuve mi odia. La incontro qui a Parigi e ancora non mi saluta. Ma io non ho mai avuto una storia. Nel nostro primo film, Il bell’Antonio di Bolognini, lui mi baciava, mi baciava. Ma che ne sapevo che fosse innamorato? Io nella vita ho amato un solo uomo: Pasquale».
Come andò con Carlo Cassola al premio Strega? Era giovanissima, scandalizzò tutti appioppandogli un bacio in pubblico...
«Mi hanno appena chiesto una testimonianza, per un libro che stanno facendo su di lui e La ragazza di Bube. Ma sa che Cassola me lo ricordo poco? (risata)».
E Macron? 
«L’ho conosciuto prima che diventasse presidente. A una festa mi disse che aveva visto tutti i miei film, che ero stata un suo sogno. Poi mi presentò l’insegnante che era diventata sua moglie: avevo 12 anni, mi disse, e ne ero già innamorato...». 
E perché litigò con Bob Dylan?
«Fece un disco e mise una mia foto sulla copertina. Ma non aveva chiesto l’autorizzazione. A me faceva solo piacere, immaginarsi, un futuro premio Nobel... Fu Cristaldi a fargli causa. Dylan dovette ritirarli, ma qualcuno di quei dischi si trova ancora». 
L’hanno intervistata centinaia di volte...
«Moravia fu il migliore: lo incontrai per caso a Roma, mi fece salire da lui, mi chiese solo del mio corpo, non capii che era un’intervista. Pasolini parlò dell’angolo dei miei occhi. Poi Enzo Biagi... Quella con Oriana Fallaci me la ricordo poco. Ma la cosa più bella di me, la disse David Niven: “Con gli spaghetti, Claudia è la migliore invenzione degli italiani”. Qualche mese fa ho fatto un’intervista in Rai, ma è stata un errore: le domande dovevano essere altre, Mara Venier cercava soltanto lo show. M’ha chiesto dello stupro da ragazzina e del figlio che tenni. Quello è un argomento che non voglio mai toccare: dico solo che mio figlio adesso vive a casa mia con sua moglie, abbiamo un rapporto bellissimo». 
È vero che Paolo VI la ricevette in udienza e lei si presentò in minigonna? 
«L’avevo comprata a Londra da Mary Quant. Devo dire che quelli erano anni più liberi di oggi, nonostante le apparenze. Lo erano anche a Tunisi: sa che il bikini ci arrivò prima che a Cannes? Nel mio primo film, con Omar Sharif, ero piccola e Jacques Baratier mi aveva fatto recitare col velo perché facevo un’araba. Poi mi guardò e disse: ma perché t’ho messo il velo? Allora mi fece scattare delle foto in bikini e finii sulle copertine (risata). E quando mi presentai in Vaticano con le gambe fuori, i paparazzi mi dissero: aoh, ma sei matta, vai conciata così?». 
Ha messo all’asta anche la minigonna? 
«Non la trovo più. Probabilmente, se l’è tenuta il Papa» (risata).