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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Il pannolino con il chip

Arriva il pannolino digitale dotato di sensore che avverte i genitori quando il loro bebè fa pipì, popò, o dorme. Dopo qualche battuta scherzosa, eccoci pronti a dividerci tra tecnofili che accolgono con gioia un’innovazione per loro utile (magari parzialmente già sperimentata con qualche app d’avanguardia) e «vecchia guardia» irritata da un ricorso a microchip elettronici e a connessioni bluetooth: a che servono se la necessità di sostituire un pannolino si capisce facilmente dalla sua umidità, dall’odore e dal pianto?
Hanno ragione gli amanti della tecnologia a non sorprendersi: sensori, microfoni e videocamere che sorvegliano a distanza i neonati vengono usati da anni. È il mondo, in pieno sviluppo, dell’«Internet delle cose» che porta sensori e intelligenza artificiale ovunque: dai fari delle auto che si accedono automaticamente quando cala la luce perché si entra in un tunnel o si fa sera, alla casa digitale nella quale un onnisciente maggiordomo elettronico conosce l’identità di chi sta suonando alla porta e sa cosa c’è in frigo.
La vera notizia è che una tecnologia già esistente ma fin qui usata da pochi, diventa ora prodotto di massa grazie alla joint venture tra due giganti: quello della tecnologia, Google, e quelli dei prodotti per la casa e l’infanzia, Procter & Gamble. Lumi, la tecnologia di controllo del pannolino sviluppata da Verily, la società del gruppo Alphabet-Google specializzata nello sviluppo di prodotti per la vita quotidiana (le cosiddette life sciences) verrà venduta a partire da settembre dalla Pampers (la società dei pannolini di Procter & Gamble) in confezioni contenenti una tutina coi sensori e una dotazione di pannolini «sensibili» sufficienti per dieci giorni.
Le ragioni economiche di P&G sono chiare: con le nascite in calo, l’unico modo di aumentare il fatturato è quello di vendere pannolini di maggior valore, anche se meno numerosi. Bisogna, poi, tenere testa ai concorrenti della Huggies: già da un anno sperimentano in Corea pannolini che mandano al cellulare del genitore un avviso via sms quando il bebè si bagna.
Quanto a noi utenti, basta essere consapevoli che stiamo percorrendo un sentiero di trasformazione antropologica dell’homo sapiens non solo sempre più smartphone dipendente, ma anche sempre meno spinto ad usare le sue capacità fisiche e i suoi sensi (vista, olfatto, udito), sostituiti da una gestione più o meno automatica dei dati. Ma, soprattutto, è bene sapere che col pannolino digitale i giganti della tecnologia, da tempo nel mirino perché creano nuovi servizi utilizzando i nostri dati personali, cominciano a estrarre informazioni anche da chi è appena nato. «Useremo i dati in modo aggregato e solo per sviluppare nuovi prodotti utili per il pubblico» assicura Google-Alphabet, in linea col buonismo da sempre sbandierato dalla ditta di Mountain View. Che, peraltro, ha appena ammesso di aver violato la privacy dei minorenni con un’altra sua azienda, YouTube: ha patteggiato una maximulta con l’authority federale per avere bombardato con pubblicità mirata ragazzini di età inferiore ai 13 anni, cosa vietata dalla legge per la protezione dei minori.