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 2019  luglio 21 Domenica calendario

Sulla scelta del nuovo premier britannico

Fra qualche giorno la Gran Bretagna avrà un nuovo Primo ministro. Non sarà un normale passaggio di consegne, come accade abitualmente alla fine di una legislatura. Il nuovo premier dovrà governare il suo Paese mentre si avvicina una importante scadenza: il giorno d’ottobre in cui il nuovo governo britannico dovrà decidere se cercare di patteggiare condizioni migliori di quelle già concordate con la Commissione di Bruxelles, promulgare un nuovo referendum o uscire dall’Ue senza un accordo, lasciando alla diplomazia il compito di incollare tutti i cocci che il divorzio avrà lasciato sul terreno.
Questa vicenda ricorda almeno altre due drammatiche circostanze in cui la Gran Bretagna dovette cambiare il suo primo ministro. Accadde nel giugno del 1940, mentre i tedeschi stavano invadendo i Paesi Bassi, e Neville Chamberlain, quando i membri laburisti della Camera dei Comuni rifiutarono di partecipare a un governo nazionale, dovette dimettersi per lasciare il posto a Winston Churchill. E accadde ancora nel 1956, durante la spedizione anglo-francese a Suez per la riconquista del canale, quando Anthony Eden, anche per improvvise ragioni di salute, fu sostituito nel mezzo della crisi da Harold Macmillan. Ma se confrontate a quella britannica dei nostri giorni le crisi del 1940 e del 1956 hanno una caratteristica comune. In ambedue i casi la scelta del successore venne dalle élites del partito, e il sovrano, secondo le regole del tempo, esercitò soltanto una funzione notarile. 
Oggi, invece, il successore di Theresa May alla guida del partito (e quindi, secondo gli usi britannici, alla guida del Paese) verrà scelto dal voto per corrispondenza dei 160.000 tesserati del partito. Accade per la prima volta e ricorda, secondo alcuni osservatori, il sistema americano delle primarie. Ma con una importante differenza. Le primarie servono a individuare i candidati che dovranno passare, in ciascuno dei due maggiori partiti, attraverso il filtro della convenzione: e i due prescelti dovranno chiedere il voto della intera nazione. In Gran Bretagna il prossimo premier non sarà scelto né dalle élites né dal popolo. Verrà scelto da una piccolissima percentuale di elettori (0,3%) privi di qualsiasi legittimità istituzionale. Vi sarà anche, alla fine di questo percorso, un voto della Camera dei Comuni, ma il parlamento, in questa vicenda, avrà svolto, come il sovrano nei casi precedenti, una funzione notarile.
Tutto questo sta accadendo perché nella campagna elettorale del 2015 il premier del tempo (David Cameron) promise un referendum sull’appartenenza del suo Paese alla Unione europea. Era convinto di vincerlo e lo perse. Più recentemente un altro premier, Theresa May, ha negoziato con Bruxelles un patto di divorzio. Credeva che sarebbe stato approvato dal Parlamento ed è stato ripetutamente respinto. Mentre gli inglesi stanno scoprendo quanto sia difficile uscire dall’Ue, a Bruxelles hanno scoperto che si può vivere anche senza la Gran Bretagna.