la Repubblica, 21 luglio 2019
Lucrezia Borgia e il suo tempo
Gentile dott. Augias, ho letto qualche giorno fa il suo interessante articolo su Lucrezia Borgia. Ho apprezzato il modo in cui ha preso le distanze da una letteratura che la vorrebbe o complice o vittima di familiari non certo raccomandabili. In realtà è stata una donna altolocata, strumento di strategie matrimoniali da parte di suo padre, il papa. In qualche matrimonio si trovò bene, come a Ferrara. L’incarico di governatrice di Spoleto e Foligno ebbe un certo significato, sia per la novità di una donna in quel ruolo sia per le iniziative che prese a favore dei suoi ‘sudditi’. Io stessa mi sono occupata di questo aspetto quando l’Istituto storico italiano per il Medioevo organizzò una serie di convegni sul papato Borgia. Sono stati anni drammatici sia nel bene che nel male, Lucrezia con le sue disavventure se n’è fatta specchio. Professoressa Maria Grazia Nico, Perugia D i Lucrezia ricorrono quest’anno i 500 anni dalla morte. Come tante donne nella storia, da Messalina a Teodora per limitarsi a due nomi, anche lei, figlia di papa, sorella di quel Valentino che suscitò l’apprezzamento di Machiavelli, è stata attaccata per varie sregolatezze sessuali, compreso un supposto duplice incesto: padre e fratello. Qualcosa certamente ci fu, con la particolarità che certe indecenze si consumarono perfino nelle stanze dei sacri palazzi; una cifra però più dell’epoca che sua personale. Il Rinascimento italiano, fino al Concilio di Trento, ha conosciuto estremi positivi e negativi. La gloria di tutte le arti e le scienze, l’umiliazione politica di una penisola frammentata in stati e staterelli deboli militarmente, insignificanti nella grande politica continentale. Dopo la discesa di Carlo VIII di Francia nel 1494 l’Italia perse ogni possibilità di riscatto. Cito un solo terrificante episodio. Nel conflitto che opponeva i Valois di Francesco I agli Asburgo dell’imperatore Carlo V, papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), scelse di allearsi con i francesi. Per fargli capire quanto inopportuna fosse la sua mossa, Carlo V fece invadere Roma dai suoi lanzi (giugno 1527). Per settimane la città fu messa a sacco, violate le donne, uccisi gli uomini, si calcolano 50mila vittime, considerata la popolazione cittadina uno sterminio. I lanzichenecchi non obbedivano solo a un ordine, erano mossi anche dalla fede luterana che considerava Roma più o meno la bocca dell’inferno. Il nome ‘Luther’ venne graffito con una punta di lancia nelle stanze vaticane dove ancora oggi si legge. Non finisce qui. Tre anni dopo lo stesso papa dovette incoronare re d’Italia l’imperatore che aveva devastato la sua città. Farlo a Roma sarebbe stato francamente un po’ troppo, si scelse Bologna. Dovettero passare quasi tre secoli perché ci fosse un altro re d’Italia e fu ancora una volta uno straniero: Napoleone, nel 1805. Da quegli anni sublimi e tragici abbiamo ricevuto una doppia eredità. Grande debolezza politica sul piano internazionale dovuta all’incapacità di essere uniti – ne possiamo vedere qualche esempio anche in questi giorni. Uno sterminato patrimonio culturale frutto di quelle stesse divisioni, quindi delle cento piccole capitali in cui la penisola era divisa ognuna delle quali decisa a rivaleggiare con quella vicina. Pare che prima di cadere in coma, Lucrezia abbia sussurrato: «Sono di Dio per sempre». Né demone né angelo, lei e la sua storia più che a Dio appartengono a quell’Italia e al suo tempo.