Addirittura, maestro?
«Certamente. La rispetto, e non mi fa paura, neanche un po’. Ho avuto una vita felice, non ho rimpianti: sono pronto...». Era il 12 giugno, poco più di un mese fa, e Andrea Camilleri ci parlava così, nell’ultima intervista pubblica che ha fatto, prima che la sua fantastica voce tacesse per sempre. Con Simona Bolognesi e Jean Paul Bellotto eravamo andati a trovarlo nella sua casa di Via Asiago, per una delle nostre cicliche conversazioni su Radio Capital. E anche quella volta il maestro ci aveva accolto nel suo studiolo, tra migliaia di libri e di oggetti, i più strani e curiosi.
Qualche piccola marionetta, un grosso pupo siciliano, accendini di ogni tipo, modellini di automobili... «Sono le mie cianfrusaglie», diceva lui. E poi, sui ripiani delle librerie, anche renne e Babbi Natale: «Mi piace pensare che sia Natale tutto l’anno...». Seduto alla scrivania, con l’inseparabile Valentina, Camilleri si accendeva già le prime sigarette della giornata, alle prese col trentunesimo Montalbano e con “l’autodifesa di Caino”, che avrebbe dovuto recitare il 15 luglio alle Terme di Caracalla. Nessuno, né lui né noi, poteva immaginare che solo tre giorni dopo un arresto cardiaco avrebbe spento l’interruttore di quella mente formidabile e infaticabile.
Camilleri, è appena uscito il suo nuovo Montalbano, “Il cuoco dell’Alcyon”, ambientato in un’Italia di qualche anno fa, quando non c’era la benzina per le volanti della polizia. Oggi stiamo peggio o meglio di allora?
«Guardi, io sono sempre ottimista, ma vi devo dire che oggi stiamo peggiorando. Nel linguaggio, nel modo di rapportarci gli uni con gli altri, nell’insulto quotidiano, in questa assurda aggressività. La politica dà un cattivissimo esempio ai cittadini. Quando certi partiti raggiungono certe cifre, il 34 per cento e oltre, non hanno fatto altro che far venir fuori dal tombino la nostra personale fogna, questo è... Io dopo la Liberazione ho visto all’opera i De Gasperi, i Togliatti, i Nenni. E poi Berlinguer: morto lui, è morta la politica italiana, che ancora non riesce a riprendersi. Galleggiare nell’oggi per l’oggi, e sopravvivere fino a domattina alle 8, non è fare politica, è solo arte di arrangiarsi».
Lei non è credente, maestro. Ma da laico, che effetto le fa un politico come Salvini, che in un comizio bacia un rosario e invoca Maria Immacolata?
«Sinceramente? Mi dà un senso di vomito. È chiaro che tutto questo è strumentale. Papa Francesco, che sa quello che fa, non impugna mai il Rosario, perché sa che offenderebbe i santi, nel momento in cui se ne servisse per fare propaganda. Ma oggi la politica è questa, purtroppo».
Dei Cinque Stelle cosa pensa? Lei all’inizio guardò con speranza al Movimento, oggi è cambiato qualcosa?
«È vero, quando il Movimento nacque gli fui grato, per aver incanalato il malumore di tanti italiani. Questo fu un fatto importante dal punto di vista sociale. Ma oggi, dal punto di vista politico, quando dall’opposizione sono passati al governo, i Cinque Stelle si sono totalmente appiattiti. Lo giuro: mai avrei pensato che sul processo a Salvini per la nave Diciotti si sarebbero comportati come i vecchi politici della Prima Repubblica, negando l’autorizzazione. E invece sono bastati pochi anni in Parlamento e pochi mesi al governo per adeguarsi alle logiche del potere».
Ma la politica del puro presente, povera di idee e di contenuti, non riguarda solo Salvini e Di Maio. Cosa pensa della sinistra, maestro?
«Senta, la sinistra è a pezzi, ma la sua rinascita non spunta come un fungo, si prepara in anni di paziente lavoro. Ora, io non vedo una sola idea di rinascita, se non la voglia di eliminare le troppe correnti che ci sono all’interno del Pd e di mantenere qualche piccola rendita di posizione. Così non si costruisce nulla. Vede, l’abolizione delle sezioni è stato un errore gravissimo: lì si andava a discutere, lì c’era il contatto tra il partito e la gente. Oggi dov’è questo contatto? Nelle apparizioni dei leader in tv? Non basta».
Non è più tempo di comunità, di bontà, di solidarietà. Si sente fuori moda, Camilleri?
«Io cerco di avere buoni rapporti con tutti, ma se mi guardo intorno... Il migrante, il diverso da noi, in cosa è diverso? Ci fa paura perché è uno straccione? Ecco il punto: se fosse ricco lo accetteremmo. La povertà è una colpa. Non esito a confessarlo: mi sono commosso a pensare a quel bambino sbarcato qui in Italia che aveva cucito dentro la sua giacchetta la sua pagella. Pensi allo stato d’animo di quel bambino, all’aspirazione che c’è dietro quel gesto: la speranza di un’altra vita, non solo l’obiettivo di salvarsi la pelle, ma l’idea di un riscatto, un ideale che noi abbiamo perso, che non sappiamo più dove sia».
Maestro, il 6 settembre lei festeggerà i suoi 94 anni. Le capita mai di avere paura? Paura della morte?
«Sinceramente no, non ho paura di niente. Con la morte ho un rapporto molto buono. Ci rispettiamo. Mi sono fatto questa idea: nel momento della tua nascita, che tu non hai voluto, ti danno un ticket, dove c’è tutto, la vita le gioie i dolori le malattie, e anche la morte. E allora accogliere la morte come destino, come atto dovuto, è solo saggezza, mentre è da sciocchi accoglierla con paura, con spavento, con ritrosia. La morte è inevitabile, perché siamo già morti all’atto della nostra nascita».
Guardandosi alle spalle, Camilleri, non le viene mai un rimpianto?
«Proprio no, mi dispiace... Ho avuto una vita fortunata, ho fatto sempre quello che volevo, mi sono guadagnato il pane facendo quello che mi piaceva fare. Sono un uomo felice. Felice di avere pronipoti, e felice di aver vissuto».