Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2019
Il boom del Vietnam
La guerra dei dazi tra Stati e Uniti e Cina conta molti perdenti, ma anche qualche vincitore: a questa seconda categoria appartiene il Vietnam, che anzi è forse il principale beneficiario. Almeno finora: i vantaggi ottenuti sono diventati così evidenti da aver già attirato le attenzioni degli Stati Uniti.
Alla vigilia del vertice di Osaka di fine giugno, il presidente Donald Trump ha duramente attaccato il Paese, considerato quello «che più abusa degli Stati Uniti, anche peggio della Cina». A maggio, il dipartimento del Tesoro ha incluso il Paese nella lista nera dei potenziali «manipolatori dei tassi di cambio».
I dazi Usa hanno spinto le multinazionali ad accelerare la riorganizzazione delle catene di fornitura a livello globale:in fuga dai balzelli sul made in China, gruppi di tutto il mondo si rivolgono sempre di più ai produttori con base in Vietnam. Secondo Banca Nomura, nel primo trimestre del 2019, i dazi contro Pechino hanno fatto crescere gli ordini all’export di Hanoi per un valore equivalente al 7,5% del Pil, su base annua. Contando anche l’effetto spiazzamento generato dai dazi cinesi, si arriva a un soffio dall’8%. Il secondo maggior beneficiario, Taiwan, è lontanissimo, con maggiori ordini all’export pari al 2,1% del Pil.
Anche per il contenuto costo del lavoro, il Vietnam è ormai già da diversi anni un polo di attrazione per investimenti e commercio, soprattutto nel settore manifatturiero a basso valore aggiunto. Nei primi sei mesi del 2019, gli investimenti diretti esteri “spesi” in Vietnam sono saliti dell’8% su base annua a 9,1 miliardi dollari. Il valore dei nuovi progetti annunciati, aumenti di capitale e acquisizioni, è balzato del 90% a 18,5 miliardi (secondo i dati del Governo).
Gran parte degli investimenti attratti in Vietnam in questi anni arriva da Paesi asiatici, a cominciare dalla Corea del Sud, che conta uno stock di quasi 65 miliardi di dollari (il 18,5% del totale), seguita dal Giappone (16,4%). Le fabbriche realizzate con capitali esteri generano il 70% di tutte le esportazioni del Vietnam. La sola Samsung, che impiega 150mila addetti nel Paese e ha cominciato a spostarvi parti di produzione già nel 2011, genera il 25% dell’export di Hanoi.
Cresce anche l’attenzione dell’Europa: il 30 giugno, dopo anni di negoziati, Bruxelles è riuscita a concludere il negoziato per un accordo di libero scambio con il Paese, che punta all’eliminazione del 99% dei dazi esistenti.
Ci sono poi operazioni mirate a utilizzare il Vietnam per aggirare i balzelli Usa contro Paesi della regione. A inizio luglio, Washington ha imposto dazi fino al 456% su prodotti in acciaio importati dal Paese, ma originati in Corea del Sud e Taiwan. Una misura analoga era già stata presa contro l’import di acciaio di origine cinese. Secondo il dipartimento del Commercio americano, dal 2015, l’import di prodotti in acciaio “fatti passare” dal Vietnam è aumentato del 900%.
Nei primi cinque mesi del 2019, l’export del Vietnam negli Stati Uniti è aumentato del 36% su base annua e il surplus bilaterale nello scambio di merci è salito a 21,6 miliardi (dati del dipartimento del Commercio Usa), aumentando di oltre il 40% su base annua e preparandosi a superare i 39,5 miliardi del 2018. Il Vietnam ha scalato quattro posizioni nella classifica dei maggiori fornitori degli Usa, attestandosi all’ottavo posto. Il surplus è risultato invece il quinto, dietro Cina, Messico, Giappone e Germania.
Malgrado il sostenuto tasso di crescita dell’economia (6,5% la stima Fmi per il 2019), il Vietnam non può essere in grado di assorbire l’enorme mole di produzione che potenzialmente può spostarsi dalla Cina: secondo i dati di MarineTraffic, il traffico di navi container nei porti del Paese è quasi raddoppiato nell’ultimo anno.