Corriere della Sera, 20 luglio 2019
Intervista a Licia Colò
Licia Colò è la divulgatrice del verde, delle bellezze naturali, del mondo ecosostenibile. «Mi occupo di certe tematiche da una vita e ho sempre seguito La7 come spettatrice: mi sembrava mancasse proprio un programma che si occupasse di ambiente e l’ho proposto al direttore di rete Andrea Salerno».
Ha iniziato nel 1989...
«Una data che tradisce la mia età... Oggi l’ambiente non è più un tema da ambientalisti, ma di stretta attualità perché l’uomo si sta rendendo conto del prezzo pesante che sta pagando con le sue politiche dissennate. Ci sono tante persone che parlano di questi argomenti da tempo, ma forse ci voleva una Greta Thunberg per far aprire le orecchie a molti».
A gennaio sarà in onda su La7 con «Eden un pianeta da salvare».
«Sarà un modo di guardare il mondo al di là delle frontiere, delle barriere geografiche, degli stati. Il pianeta va visto come un unicum, sia perché lo è, sia perché va vissuto come un’unica entità, un solo organismo. Noi possiamo unire luoghi distanti come il Madagascar e il Veneto grazie al nesso dell’acqua: in Madagascar ce ne è poca, la conseguenza è la mancanza di igiene, da lì arrivano le malattie. In Veneto invece ce ne è tanta, ma è avvelenata dai Pfas (sostanze che creano problemi a livello endocrinologico), e si torna alle malattie. Sono due lati della stessa medaglia. Questo è solo un esempio, ma ce ne sono tanti».
Quali temi tratterà?
«Discuteremo di cambiamenti climatici, di inquinamento e carenza d’acqua, di desertificazione e disboscamenti. Ne parleremo sempre partendo da luoghi meravigliosi: mostreremo tante bellezze, ma anche tante fragilità».
Qual è la cosa che più la preoccupa dal punto di vista ambientale?
«Noi tendiamo ad avere paura di ciò che vediamo, invece dovremmo spaventarci di ciò che non vediamo. Ora si parla molto di plastica ed è un bene, però la plastica è anche utile all’uomo, il problema è che è stata gestita male. Mi fa più paura l’inquinamento dell’aria, in certe città dei Paesi poveri del mondo non si respira... questo mi preoccupa di più».
Come è arrivata l’illuminazione sulla via green?
«Ho iniziato a fare tv da giovane, a 20 anni: Bim Bum Bam, Festivalbar, Buona domenica con Costanzo... A 25 anni mi sono chiesta cosa volevo fare nella vita. Io sono sempre stata appassionata di ambiente, ero la classica ragazzina iscritta alla Lipu e al Wwf. Nel 1989 arrivò L’arca di Noè, una strada che non ho più abbandonato».
La fine improvvisa di «Kilimangiaro», il ritorno in Rai con «Niagara», quindi un nuovo stop: il rapporto con la Rai è una ferita aperta?
«Kilimangiaro non è una ferita, forse dovevo essere più paziente: non lo sono stata – perché non lo sono di carattere – e ho pagato il prezzo. Per me è come un ex fidanzato, chissenefrega. E poi soffro per altre cose, non per il lavoro».
Viaggiare come lavoro. Il massimo si direbbe.
«Ho fatto il giro del mondo non so quante volte e la gente pensa che sia un’appassionata di viaggi, ma non è così: io quando sono in vacanza non mi schiodo neanche con i lacrimogeni. Viaggiare però è stata l’università della mia vita, mi ha permesso di conoscere tante cose. E viaggio sempre con uno scopo, quello di raccontare il mondo».
Negli svariati giri del mondo quali luoghi l’hanno affascinata di più?
«I territori africani, l’Oriente... Il nord Europa è un luogo fantastico per la gestione ambientale, ma d’inverno ci sono tre ore di sole, se no sarebbe da trasferirsi. Invece non amo le megalopoli, non ho nessuna esperienza indimenticabile legata alle città, io sono selvatica».
Dove va in vacanza?
«In Trentino, è il mio nido, senza macchina, solo la bicicletta, qualche camminatina ma senza esagerare...».