Corriere della Sera, 20 luglio 2019
Rivive in Lucania la sfida di Nitti
«Per tutti noi nipoti Nitti, nati esuli dopo le violente intimidazioni di Mussolini a mio nonno Francesco Saverio e a tutta la famiglia, la grande villa di Acquafredda di Maratea ha rappresentato nel dopoguerra un punto di riferimento straordinario. Si parlava italiano, francese, tedesco, spagnolo, inglese… Nostro zio Giuseppe, che diventò il capofamiglia dopo la morte degli altri suoi fratelli, diceva che ci era necessario un bagno non solo di italianità, ma di meridionalità per capire le nostre radici…».
Patrizia Nitti è un’elegante signora che ha alle spalle una eccellente carriera da economista della cultura: nata a Parigi, figlia di Federico Nitti, ultimogenito di Francesco Saverio, e di Giuliana Cianca, figlia del giornalista antifascista Alberto, anche lui esule antifascista, ha diretto i musei parigini del Luxembourg e del Maillol. Ora sta seguendo le manifestazioni per il centenario del governo diretto da suo nonno Francesco Saverio Nitti, grande meridionalista, che fu presidente del Consiglio dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920. Si tratta di un esecutivo considerato da molti storici un punto di riferimento per il tentativo di ridurre il divario Nord-Sud, per le sue riforme in materia fiscale, per la riconversione dell’industria italiana da bellica in pacifica dopo la Prima guerra mondiale.
Domani, domenica 21 luglio, a villa Nitti (oggi attivo centro culturale dopo la donazione della famiglia alla Regione Basilicata nel 1970, che la sottopose in quegli anni a un contestato, assai discutibile restauro architettonico, e dal 2012 cuore della Fondazione Nitti presieduta da Stefano Rolando) la Compagnia teatrale «Opera», per la regia di Gianpiero Francese, metterà in scena quattro dialoghi legati ai temi di cento anni fa: gli attori interpreteranno lo stesso Nitti, sua moglie Antonia Persico Cavalcanti, il maestro di Nitti, Giustino Fortunato, il suo collaboratore Maurizio Capuano e il grande avversario di Nitti, Gabriele d’Annunzio, che con l’occupazione di Fiume assestò un duro colpo al governo dello statista lucano. Prima dello spettacolo ci sarà un breve inquadramento storico di Nicoletta Marini d’Armenia, dell’Università della Campania «Luigi Vanvitelli», e di Donato Verrastro e Maria Teresa Imbriani, dell’Università della Basilicata.
Lo spettacolo è solo il primo passo delle celebrazioni per il centenario del governo Nitti: l’apposito comitato, presieduto da Giuliano Amato, sta mettendo a punto un convegno per fine settembre (data ancora da stabilire) alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Intanto lo spettacolo aiuterà a rimettere a fuoco i contorni storici e familiari intorno a Nitti. Spiega la nipote Patrizia: «Mia nonna Antonia Persico Cavalcanti, figlia del giurista Federico, fu un personaggio straordinario per i tempi. Colta, poliglotta, attivissima, fu la segretaria particolare del nonno quando fu al governo. La scelse perché così era sicuro che non ci sarebbero state fughe di notizie prima delle riforme». Anche un secolo fa il problema c’era, e la famiglia rappresentava una certezza.
Il fascismo, come dice Patrizia Nitti, «fece esplodere la nostra famiglia». Mussolini non digerì l’aperto dissenso di Nitti al suo governo. Prima le aggressioni di manipoli fascisti davanti alla villa di Acquafredda, poi la devastazione della casa familiare a Roma, in Prati, il 30 novembre 1923. Quindi la decisione dell’esilio a Parigi con l’inizio di una vasta saga familiare. Il padre di Patrizia, Federico, fu scienziato, ricercatore al Pasteur di Parigi e tra i primi sperimentatori dei sulfamidici, attivo antifascista e fornitore clandestino di medicinali alla Resistenza. Premorì giovane al padre, ad appena 42 anni, poco prima del rientro in Italia. Passò simbolicamente il testimone della ricerca al cognato Daniel Bovet, che aveva sposato sua sorella Filomena. E proprio Bovet, svizzero di nascita con lunghi studi in Francia, si naturalizzò italiano nel dopoguerra e conquistò il premio Nobel per la Medicina nel 1957. Il figlio di un primo matrimonio di Filomena, Gian Paolo, venne adottato dai nonni Nitti per perpetuare il cognome, ma morì in un incidente stradale nel 1970 proprio a Maratea, a soli 37 anni, appena eletto come indipendente nelle liste del Pci nel primo Consiglio regionale della Basilicata.
Una famiglia cosmopolita, intrinsecamente antifascista, fiera di un nonno già europeista ben prima dell’Unione. Lasciò scritto, così come si legge sul sito della Fondazione: «Io sono soprattutto italiano ed europeo. Più che ogni altra parte d’Europa l’Italia ha bisogno di libertà e di pace, deve cercare nel lavoro e nello scambio la fonte stessa della sua prosperità. Se il nazionalismo negli altri Paesi è un delitto, in Italia è una stupidità. Lavorando sinceramente per la pace e per l’unione dell’Europa so di lavorare per la grandezza del mio Paese».