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 2019  luglio 20 Sabato calendario

Le carceri che diventano hotel

Le riconversioni di edifici abbandonati rientrano nel processo di rigenerazione urbana, un’onda lunga che sta interessando ormai moltissime città. Non solo interi quartieri ma anche singoli palazzi trovano nuova vita e opportunità di rilancio. Presupposto è salvaguardare la loro identità, ovvero mantenere e valorizzare le tracce, nobili o meno non importa, che diventano monumento al passato e allo stesso tempo strumento di rinascita. 
Le strutture di detenzione sono tra gli esempi più eclatanti. L’ultima riconversione in ordine temporale è The Dixon Hotel, nel distretto londinese di South Bank, appena inaugurato nella veste di albergo in un palazzo edoardiano un tempo sede del tribunale, stazione di polizia e prigione. «Qui c’erano stanze di detenzione temporanee e celle di sicurezza vere e proprie, sulle quali siamo intervenuti per trasformarle in camere. Rese confortevoli ma senza tradirne l’identità», racconta Umberto Salon, managing director di Lema UK, marchio a cui è stata affidata progettazione e creazione di questi arredi. Le dimensioni delle stanze sono rimaste quelle originarie, tutte diverse tra loro: «Piuttosto piccole, nella logica delle celle: la sfida è stata creare per ciascuna un progetto su misura senza modificare l’architettura originale», spiega. Altro tema, salvaguardare la memoria: «Abbiamo scelto colori scuri che suggeriscono austerità. E conservato identici elementi simbolo come le sbarre alle finestre – racconta —, anche chiavistelli e catene delle ex celle sono stati recuperati e inseriti con discrezione nelle parti comuni». Qui le fotografie di carcerati rinvenute durante i lavori sono state esposte alle pareti: «A memento del passato», precisa Salon. Stesso significato per le manette inglobate nel lampadario dell’ingresso. Eloquente presenza-assenza.
Le carceri, luoghi dall’identità «fragile»: come si interviene? Lo spiegano gli architetti Andrea Marcante e Adelaide Testa, dello studio omonimo autore del progetto che ha trasformato la mensa degli agenti della polizia circondariale del carcere torinese ex Le Vallette in «Liberamensa», ristorante interno (ma aperto al pubblico alla sera). «Avendo una doppia funzione occorre rispetto, ma allo stesso tempo bisogna ridare dignità. Perché chi viene a cena possa trovare un ambiente gradevole senza scordare che, fuori, c’è un luogo di detenzione» – esordiscono —, nessun stravolgimento ma solo integrazioni: qui, al perlinato abbiamo accostato laminati, piastrelle e stampe fotografiche. Le inferriate sono intatte, ma con nuovi inserti di vetri colorati effetto finestre piombate». Tavoli da mensa in formica, colorati e componibili, e grandi lampadari a cerchio. Che, a guardarli bene, ricordano le manette. 
A volte invece succede che l’edificio abbia una storia controversa, a cui è meglio contrapporre un intervento più radicale. Un esempio è l’Hostel Celica a Lubiana, carcere militare per oltre un secolo fino alla sua riconversione in ostello quasi 20 anni fa. Esterni e aree in stile contemporaneo e 20 camere trasformate da interventi site-specific di artisti provenienti da tutto mondo. Per addolcire gli ingressi a inferriata tipici delle celle, mantenuti intatti. 
Tra corridoi-ballatoio e sbarre, la possibilità di aprirsi al pubblico può aggiungere a questi luoghi un valore esemplare. É successo per esempio nel carcere di Bollate, con il ristorante «InGalera», aperto solo agli esterni: «É un luogo che ribalta le convenzioni: in genere il carcere chiede, qui sono i carcerati a dare. Cibo e servizio di qualità altissima», dice Silvia Polleri, presidente della cooperativa «Abc-La sapienza in tavola» che l’ha creato. Così, circondati da manifesti di film a tema, reticoli e librerie stile gabbia, si cena con menu stellati. Per poi tornare, passando da una porta blindata con tanto di spioncino, metaforicamente alla libertà.