Il Messaggero, 20 luglio 2019
L’attentato fallito a Hitler il 20 luglio 1944
Oggi è il settantacinquesimo anniversario di un gesto nobile e sfortunato, che avrebbe potuto dare alla Storia un corso diverso e risparmiare molte vite. Il 20 luglio 1944, infatti, Claus von Stauffenberg, colonnello dello stato maggiore tedesco, piazzò sotto il sedere di Hitler una bomba al plastico. L’ordigno esplose, ma il dittatore si salvò.
L’attentato era stato preceduto da altri tentativi andati a vuoto. Ma dopo lo sbarco in Normandia, molti ufficiali avevano capito che la guerra era perduta, e affrettarono i tempi per eliminare il dittatore e negoziare una pace onorevole. Avrebbero costituito un governo di salute pubblica di politici e di militari, come il maresciallo Von Witzleben, il generale Ludwig Beck e altri eroi di guerra. Alla congiura avevano aderito anche il comandante del fronte occidentale, Von Kluge, e il governatore della Francia von Stulpnagel. È incerto se Rommel vi partecipasse, anche se ne era a conoscenza: comunque fu ferito qualche giorno prima dell’attentato, e non vi ebbe alcun ruolo.
Stauffenberg, di famiglia nobile e fervente cattolico, era privo di un occhio, di un braccio e di tre dita della mano sinistra, a causa delle ferite riportate in Africa. Era uno dei pochi ad avere accesso alla Tana del Lupo, il sorvegliatissimo recinto nella Prussia orientale dove Hitler si era relegato. Per questo suo privilegio, oltre che per il suo coraggio, fu scelto come esecutore materiale del piano, anche se questo lo avrebbe allontanato da Berlino nel momento cruciale.
DETONATORE
Quando arrivò alla Wolfsschanze, recava una borsa contenente due pani di plastico di mezzo chilo l’uno, e un detonatore a tempo di costruzione inglese, costituito da un percussore agganciato a una molla trattenuta da un filo. Rompendo una fiala di acido, in dieci minuti il filo si sarebbe corroso e avrebbe liberato la molla determinando l’esplosione. Nessuno, all’interno del bunker si sarebbe salvato. Purtroppo tre cose andarono storte.
Quel giorno faceva molto caldo, e la riunione era stata spostata in una baracca all’esterno, con le finestre aperte, e questo avrebbe ridotto di molto l’effetto dell’esplosione. Poi Stauffenberg fu interrotto nel bel mezzo dell’innesco, e invece dei due pani, potè utilizzarne solo uno. Infine, dopo aver deposto la borsa accanto a Hitler, si allontanò con un pretesto, ma pochi attimi dopo un generale urtò la borsa e la spostò dalla altro alto del robusto sostegno del tavolo, lontano dal Fuhrer.
Appena uscito, Stauffenberg vide la baracca saltare in aria, e si convinse che non vi erano superstiti. Ripartì subito in aereo, ma quando arrivò a Berlino scoprì che l’operazione Valkiria non era neanche iniziata: si attendeva la conferma della morte del tiranno. Il colonnello rassicurò i colleghi, ma ormai il ritardo era incolmabile. Il maggiore Remer, comandante del battaglione Grossdeutschlande fervente nazista, sulle prime ubbidì agli ordini dei congiurati e disarmò le SS; poi, inviato ad arrestar Goebbels, fu da quest’ultimo messo in comunicazione con Hitler, che lo promosse colonnello e gli intimò di reprimere la rivolta.
COMPLOTTO
Nel frattempo il generale Fromm, comandate dell’esercito territoriale, che pur aveva aderito al complotto, visto il fallimento dell’attentato si disimpegnò, e fu messo agli arresti nel suo ufficio. Quando Remer ebbe circondato la caserma dei congiurati, ormai feriti e prigionieri, Fromm convocò una fantomatica corte marziale e fece fucilare Stauffenberg con i suoi compagni di sventura. Questo stratagemma non lo salvò, e pochi mesi dopo fu giustiziato anche lui.
Dopo 75 anni gli storici si domandano ancora perché il complotto fallì. Si possono addurre tre ragioni: l’inettitudine dei congiurati, la tempestiva reazione dei nazisti e infine l’intervento del Caso.
I cospiratori commisero errori tanto più inspiegabili quanto più elevata era la loro esperienza militare.
Il primo, e più grave, fu di non verificare l’adesione al complotto del maggiore Remer, che comandava l’unica forza efficiente a Berlino e che si rivelò il loro più determinato avversario. Il secondo fu il loro scrupolo nel neutralizzare subito gli ufficiali ostili o esitanti, che furono educatamente messi agli arresti. Il terzo fu l’incredibile esitazione dei capi.
I FEDELI
Tranne Stauffenberg e il suo piccolo giro di fedeli, tutti gli altri sembrarono incapaci di gestire una situazione così grave: questo perché von Witzleben e Beck non avevano la tempra dei golpisti, e il loro coraggio, tante volte testato sul campo di battaglia, svanì davanti alle prime impreviste difficoltà. In Francia, dove l’esercito aveva arrestato tutti i vertici delle SS, Gestapo compresa, il comandante del fronte, Von Kluge, quando seppe che Hitler era vivo abbandonò ogni iniziativa, e consigliò a von Stulpnagel di scappare vestito da borghese. Il valoroso generale si sparò, riuscendo solo ad accecarsi, giusto per affrontare poi il patibolo. Kluge e Rommel si sarebbero suicidati poco dopo. Tutti morirono con dignità, ma si comportarono da dilettanti.
I nazisti, al contrario, furono tanto abili quanto rapidi. Goebbels capì tutto al volo, e agì di conseguenza. Hitler, benché ferito, parlò subito per radio al popolo, rassicurandolo sulla sua salute ed eccitandolo alla vendetta. E Himmler, con tutto il suo imponente apparato poliziesco, arrivò a Berlino la sera stessa dell’attentato per organizzare la repressione. Entro poche settimane, alcune migliaia di congiurati erano già stati arrestati e la più parte giustiziati.
Infine il Caso. Di recente un gruppo di ingegneri, di esperti balistici e di patologi hanno ricostruito la scena dell’attentato. Poi ne hanno simulato le conseguenze se le tre circostanze che ne determinarono il fallimento – la riunione nella baracca invece che nel bunker, il dimezzamento della carica esplosiva e lo spostamento della borsa – non fossero state concomitanti. Ne è risultato che se anche uno solo di questi imprevisti non si fosse verificato l’attentato avrebbe avuto successo. Quanto al dittatore, nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se fosse morto, ma purtroppo sappiamo cosa accadde con lui vivo. Le perdite di vite umane dei nove mesi successivi furono superiori a quelle dei cinque anni precedenti: nel solo mese di Agosto quattrocentomila ebrei ungheresi furono portati ad Auschwitz e sterminati. Noi possiamo concepire la Storia in vari modi: come fenomenologia dello Spirito, come Provvidenza, o semplicemente come una favola vuota senza alcun significato. Ma una cosa è certa: che la Tuxe, ovvero il Caso, di cui parlava Tucidide, interviene spesso per scompigliare i nostri progetti. E chi crede nel Demonio può legittimamente pensare che mai come il 20 luglio intervenne con tanta abilità e ostinazione per salvare un suo simile.