il Fatto Quotidiano, 20 luglio 2019
Marisa Laurito e De Crescenzo: l’amicizia di una vita
Marisa Laurito è nata a Napoli.
“Era la mezzanotte di un Capodanno a casa mia. Giro con un piatto di lenticchie, gliene offro: ‘Lucià, ne vuoi un po’ che porta bene?’. Mi guarda con l’aria avvilita e borbotta: ‘Marisa, ma io sono un ingegnere!’. Uomo di scienza, Luciano, mica uno che poteva piegarsi alla superstizione. Eppure era un uomo d’amore, tanto, anche a giudicare dalla folla commossa che ieri gi ha reso omaggio in Campidoglio. De Crescenzo se n’è andato giovedì, avrebbe compiuto 91 anni tra un mese. Da tempo non stava bene e al suo fianco, oltre alla famiglia, aveva gli amici di sempre, quelli dei film, della musica e delle risate, Marisa Laurito e Renzo Arbore.
Signora Laurito, in Campidoglio ha ricordato Il Dubbio, il libro nel quale De Crescenzo sostiene che se una persona ha dubbi vuol dire che è tollerante.
Le persone d’amore, quelle che professano il bene, hanno dubbi. Bisogna scappare a gambe levate da chi nutre certezze, diceva Luciano, perché la fede cieca e la mancanza di dubbi sono pericolose. Chiamava costoro ‘persone di libertà’.
Era un filosofo o, come dicono, un divulgatore?
Molto più di tutto questo, era tante cose insieme: un uomo bellissimo, ironico, spiritoso; sapeva disegnare, fotografare, scrivere. È stato un grande autore, sottovalutato dall’intellighenzia, quella che anche Camilleri definiva non attenta. E invece la cultura non è proprietà di pochi. Mi auguro che un domani se ne possano rendere conto.
Però era amatissimo dal suo pubblico.
Lo scorso anno abbiamo portato a teatro Così parlò Bellavista: mi sono resa conto che il pubblico ripeteva a memoria le nostre battute. Quel film-capolavoro è diventato un cult. Luciano aveva dalla sua le persone normali.
E lo abbiamo visto anche ieri per l’ultimo saluto.
Mi si è avvicinato un signore: ‘Io non sono una persona colta, non ho studiato – mi ha detto –, ma grazie ai libri di filosofia di De Crescenzo ho imparato qualcosa. Non vado mai ai funerali dei Vip, ma essere qui mi sembrava doveroso’. Far appassionare le persone comuni alla filosofia è stato un grandissimo merito.
Arbore ha ricordato come non andasse mai sopra le righe. Lei ha memoria di qualche litigio?
Sempre per gioco. Ricordo i viaggi in Kenya con Luciano e Renzo. Sa perché si arrabbiava? Perché nei villaggi sperduti non poteva leggere il suo quotidiano. Era l’unico degli amici che, quando dovevo girare un film la mattina presto, potevo chiamare: lui si svegliava alle 5 del mattino, andava al bar, beveva il caffè e comprava il quotidiano.
Eravate spesso insieme?
Passavamo insieme tutti i Natali, a casa mia, con le nostre famiglie. Luciano aveva sempre fretta di mangiare.
Per fame?
No, no, perché si scocciava di aspettare. Quando mangiavamo al ristorante, se vedeva passare una qualsiasi pietanza diceva al cameriere: ‘La dia a me’. Una volta gli abbiamo organizzato uno scherzo: gli abbiamo fatto preparare una cotoletta con una scatola di cartone. Stessa scena: lui ferma il cameriere e se la fa lasciare. Inizia a mangiare. ‘Lucià, ma è buona?’. ‘Sì, solo un po’ dura’.
Vi conoscevate da sempre.
Ci incontrammo sul set de La mazzetta, il film di Corbucci di cui Luciano aveva scritto la sceneggiatura e io ero la protagonista femminile. Pensi che ho ritrovato una sua dedica al libro Panta Rei, uscito nel 1997: ‘Cara Marisa, mi sembra ieri e sono passati 20 anni, ma non è passato l’affetto che ho per te’. Oggi ne sono passati 45.
La Napoli che De Crescenzo incarnava è scomparsa?
Forse per alcuni partenopei, ma il cuore della Napoli forte resiste ancora. È una Napoli elegante, bella, preziosa quella che Luciano portava nel cuore.
E non superstiziosa.
Diceva il grande Eduardo De Filippo: ‘Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male’.