Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 19 Venerdì calendario

VAFFANBANK! - PIU’ GLI ITALIANI VERSANO SOLDI SUI CONTI CORRENTI (SALITI DI 55 MILIARDI NELL’ULTIMO ANNO), PIU’ LE BANCHE TAGLIANO I PRESTITI (CROLLATI DI 90 MILIARDI IN DUE ANNI - CI SONO SUI CONTI DEGLI ITALIANI 1.540 MILIARDI REMUNERATI QUASI A ZERO. E SAPETE DOVE SONO FINITI I SOLDI IN PIU’ DEI DEPOSITI? SOLO IN BTP: COMPRATI DALLE BANCHE 70 MILIARDI IN PIU’ E ORA SIAMO TORNATI DI NUOVO AL PICCO STORICO DEI 400 MILIARDI DI TITOLI DEL TESORO IN PANCIA ALLE BANCHE -

Come in un mondo alla rovescia. Più gli italiani mettono i loro soldi in banca, più le banche anziché aumentare i prestiti finiscono per tagliarli drasticamente. La crisi del credito sembrava passata e invece per l’ennesima volta il motore bancario, la cinghia di trasmissione del denaro dai risparmi all’economia reale, si è inceppato.

Il quadro dell’ennesima retromarcia dell’industria bancaria che congela nei suoi forzieri i quattrini delle formichine italiche lo ha fornito di recente la stessa Abi, la Confindustria delle banche. La raccolta di denaro fatta dai depositi dei correntisti e dalle obbligazioni continua imperterrita a salire.

A giugno di quest’anno ha toccato il picco di 1.778 miliardi con un +55 miliardi solo nell’ultimo anno, mentre due anni fa, a giugno del 2017, lo stock aveva superato di poco i 1700 miliardi. Ma mentre le obbligazioni tirano il freno sono proprio i conti correnti e i depositi, più o meno vincolati, a mettere il turbo.

A giugno gli italiani avevano in banca sotto forma di conti e depositi la bellezza di 1.540 miliardi ben 140 miliardi in più sull’estate del 2017. Vuol dire un incremento del 10% secco in soli 24 mesi. Soldi che dovrebbero rientrare nel circolo idraulico dell’economia. Dai correntisti, via mezzo bancario, ai prestiti, mutui e fidi alle imprese.

E invece no. Accade l’esatto contrario. Non solo i prestiti non aumentano ma si contraggono. Sempre l’Abi ci racconta che gli impieghi sono crollati di ben 90 miliardi da 1.795 miliardi di due anni fa a 1.705 miliardi attuali.

Ma attenzione lì dentro c’è anche la componente dei prestiti alla pubblica amministrazione che valgono oltre 250 miliardi e che per definizione non vanno in default. Stato e Comuni rimborseranno magari tardi, ma restituiscono il dovuto. È la componente senza rischio.

Tolta questa il quadro si fa ancora più cupo. Al settore privato nel suo complesso sono venuti meno in 2 anni 86 miliardi e solo a imprese e famiglie il taglio secco è stato di ben 94 miliardi. Ma come gli italiani prodighi accumulatori di denaro a rendimento zero versano agli sportelli bancari oltre 140 miliardi in più in soli 2 anni e vengono ripagati con una stretta creditizia che li priva di 94 miliardi di prestiti?

Ecco il mondo alla rovescia con l’intermediazione bancaria che gira all’incontrario. Più versi soldi sul conto, meno ricevi come prestiti. Tutto congelato, e questo a oltre un decennio della grande crisi finanziaria. Questo il fotogramma che ci restituisce la grigia statistica. La spiegazione di tanto paradosso è più che una foto un caleidoscopio di ragioni.

Nell’ultimo biennio le banche sono state impegnate in una massiccia riduzione (via cessioni e cartolarizzazioni) dei prestiti avariati, le cosiddette sofferenze. E se stai facendo pulizia di bilancio dalla zavorra dei presti marci difficilmente ti metti ad aumentare i nuovi prestiti.

Troppo rischio di incamerare nuove sofferenze che pregiudicherebbero l’operazione pulizia dalle scorie delle sofferenze. Poi i banchieri ci raccontano che è la domanda di prestiti che latita e in ogni caso, dopo la tempesta delle sofferenze e memori del passato, i manager bancari si sono fatti più guardinghi nel dare soldi a destra e manca.

Se hai il solo sospetto che il nuovo fido possa non essere rimborsato eviti come la peste di deliberarlo. Certo restano le grandi aziende e tra queste quelle solide, ma quelle si finanziano sul mercato delle obbligazioni.

Sarà che la domanda non c’è o se c’è è rischiosa per le banche, sta di fatto che se non presti denaro, che è il tuo business tipico, non fai ricavi. I tassi bassi che non accennano a ripartire rendono sempre meno redditizio prestare denaro. Puoi aumentare i ricavi solo se aumenti ancor di più i volumi, ma come si è visto in Italia accade il contrario.

E allora con meno ricavi dall’intermediazione di denaro le banche si buttano sui servizi. Polizze, fondi comuni, gestioni patrimoniali per compensare i ricavi mancanti dal prestare denaro. E poi si continua a fare tagli di costi per produrre un po’ di utili. Solo tra il 2017 e il 2018 le banche hanno tagliato il costo del lavoro per oltre 2 miliardi. E così ci si avvita su se stessi.

Poi viene raccontato, sempre dal pulpito dei banchieri, che i tassi così bassi rendono sempre meno remunerativo prestare soldi. Ma anche qui pare una mezza verità. È vero che i tassi attivi sono diminuiti nel tempo. Sempre secondo L’Abi oggi il tasso medio sui nuovi mutui è dell’1,78%; il tasso (sempre medio) alle imprese è l’1,36% e quello medio globale è al 2,57%. Sempre più giù vero. Ma anche il denaro raccolto costa sempre meno.

Le statistiche Abi parlano di un tasso medio totale tra conti correnti, depositi e obbligazioni solo dello 0,61%. Ovviamente sono medie e come il Pollo di Trilussa gli estremi sono i più vari. Chiunque ha un normale conto corrente sa che il tasso da anni è zero.

I depositi vincolati pagano un po’ di più e ancor di più i bond che però come visto sono in forte decelerazione. Alla fine il dato che conta è che lo spread bancario (non quello tra Btp e Bund), cioè il differenziale tra tasso passivo, quello  che le banche pagano ai depositanti e tasso attivo (il tasso cui concedono mutui e prestiti) è oggi di quasi il 2%. Non poco quindi e stabile ormai da almeno 5 anni.

E di fatto più basso di solo un punto e mezzo dall’era dorata pre crisi del 2007, che difficilmente sarà replicabile in futuro. Certo un guadagno del 2% non è mirabolante ma non è neanche quella miseria tanto sbandierata dalla propaganda pro-banche.

In fondo il calo dei ricavi da intermediazione di denaro non è dovuto ai margini ma al calo forte dei volumi. Basti pensare che quel taglio di ben 94 miliardi in solo due anni di impieghi a famiglie e imprese ha voluto dire rinunciare a maggiori ricavi per 1,9 miliardi. Poco meno del taglio del costo del lavoro praticato in un solo anno dalle banche.

Un cane che si morde la coda. Non presti tutti i soldi che gli italiani ti affidano (anzi continui a contrarre i prestiti allargando la forbice tra quanto entra nei tuoi sportelli e quanto esce) solo perché hai paura che parte di quei soldi non vengano restituiti. Ma così ti privi di fonti di ricavo e sei costretto a continui tagli dei costi per garantire un po’ di utili che ti chiede il mercato.

Come in un limbo stanno le banche italiane. Nello stesso limbo però convivono i risparmiatori. C’è da chiedersi perché gli italiani continuino imperterriti e in modo crescente a lasciare tanta liquidità che rende zero da anni sui conti correnti. Oggi siamo al picco dei 1.540 miliardi che giacciono su conti e depositi più o meno vincolati.

Di fatto oltre un terzo della ricchezza finanziaria mobiliare degli italiani è lì congelata a rendimento zero se non negativo, sommando i costi del conto. La spiegazione plausibile è la paura e/o la sfiducia. Paura del futuro, paura di investire, sfiducia nei mercati.

Certo l’inflazione da tempo non aggredisce più la liquidità tenuta ferma, ma è una magra consolazione. Le banche dovrebbero ringraziare clientela così generosa, tanto da consentirgli di raccogliere denaro a costi irrisori e che permette loro di mantenere un margine di guadagno unitario del 2% su ogni somma che prestano.

Ma quei soldi raccolti abbondantemente e non usati per fare nuovi prestiti non finiscono in un buco nero. Non restano parcheggiati. O meglio ci restano ma parcheggiati di fatto in titoli di Stato della Repubblica italiana. Già le banche i depositi via via crescenti non li prestano, ma li investono in buona parte in BTp e compagnia.

Solo dal 2017 a oggi quindi in un anno e mezzo le banche si sono riempite la pancia di quasi 70 miliardi in più di titoli di Stato, passati da 331 miliardi del 2017 ai 398 miliardi del mese scorso. Siamo tornati al picco storico di possesso di Btp e Bot da parte dei nostri istituti di credito. E così il pendolo non smette di oscillare.

Appena lo spread sale quel bottino di quasi 400 miliardi di titoli del Tesoro torna a far paura ai mercati che si mettono a vendere titoli bancari. Appena lo spread torna a scendere, come ora, banchieri e non solo tirano un sospiro di sollievo. Un moto ondoso che dura ormai dalla crisi del 2011. E che non si è mai spezzato. Con l’ultima morale: sono i depositi degli italiani formichine, via banche, a immolarsi sull’altare del debito pubblico. Forse ancora non lo sanno