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 2019  luglio 19 Venerdì calendario

La guerra per gli avocado

Da fuori è dello stesso verde delle foreste latinoamericane da cui proviene ma dentro, nelle sue invisibili vene, scorre il sangue violento dei narcos. Strano destino quello dell’«aguacate» come lo chiamano in Messico, o avocado come arriva invece sulle tavole italiane: l’ultimo grido delle diete più quotate ai giorni nostri per raggiungere in un attimo bellezza e benessere insieme. Perché il «diamante verde», è stato ribattezzato anche così per vendere di più, contiene luteina, una sostanza naturale che pare faccia miracoli per le nostre funzioni cognitive e per la memoria. E fa pure dimagrire perché il frutto da solo sazia come se fosse un intero pasto. Per giunta lo si può gustare nelle forme più svariate, dalla semplice insalata al più esotico guacamole, una salsa di origini addirittura azteche, con aggiunta di sale, succo di lime e peperoncino verde Serrano del Sol. E la moda sta contagiando davvero tutti, dalle star del jet-set internazionale – l’attrice di Hollywood Meryl Streep qualche anno fa addirittura nel maneggiare un avocado si tagliò un dito – fino ai comuni mortali in cerca anche loro di un elisir di lunga vita. Secondo la World Avocado Organization nel 2018 sono state acquistate 650mila tonnellate di avocado, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. E dopo gli Stati Uniti – l’avocado è venduto a palate quasi quanto il petrolio – è l’Europa a fare la parte del leone. Solo in Italia il consumo nello stesso anno è aumentato del 78%.
Quanto basta per essere soddisfatti. Ma è sufficiente risalire all’indietro di tutta la filiera per capire che la cronaca da salutista all’improvviso si fa sinistra. In Messico – che è il più grande produttore al mondo con un export annuale di oltre due milioni di tonnellate, un giro d’affari di più di 2,5 miliardi di dollari, un indotto che dà lavoro direttamente a 70mila persone e indirettamente a quasi 300mila, seguito poi da Cile, Perù e Brasile – i narcos sono entrati pesantemente nel business. Il miglior avocado del pianeta si produce, infatti, nello Stato di Michoacán, nella parte centro-occidentale del paese, e in particolare nella zona di Tancítaro dove circa 22mila ettari di campagna sono dedicati a questa coltivazione. In dieci anni la produzione è triplicata con un impatto ambientale pesantissimo: ogni anno si sono persi quasi 700 ettari di foresta.
Più che una manna dal cielo, insomma, per i poveri campesinos di questa regione l’avocado si è trasformato in una maledizione. Almeno due cartelli della droga si sono fatti la guerra sul campo, il Jalisco Nueva Generación e quello dei Templari, poi sostituito dagli H3 o «Tercera Hermandad», che hanno disboscato interi ettari obbligando i locali a coltivare il nuovo oro verde. A tutto questo poi si sono aggiunte le estorsioni, che hanno fatto entrare nelle tasche dei narcos oltre 100 milioni di dollari. E poi omicidi e incendi dolosi per deforestare zone invece protette. Stanchi i campesinos hanno deciso di difendere da soli la loro terra – nonostante lo Stato abbia inviato l’esercito – creando già nel 2013 dei gruppi di autodifesa, una sorta di «poliziotti dell’avocado» con ronde costanti per tenere sotto controllo il raccolto. La violenza in parte è diminuita anche se in molti fanno fatica a dimenticare i mille morti ammazzati o desaparecidos di Tancítaro che di suo fa appena 40mila abitanti. 
Gabriel Villaseñor presidente dell’Apeam, l’associazione dei produttori di avocado del Michoacán è comunque realista: «La tensione è diminuita sì ma io giro coi bodyguard dopo che hanno ucciso mio cugino». E preoccupa il fatto che il Piano agricolo messicano nazionale che arriva fino al 2030 non faccia minimamente riferimento al problema.
Ma chi pensa che il problema sia solo messicano si sbaglia di grosso. In Nuova Zelanda ci sono bande criminali ad hoc che rubano avocado per rivenderli sul mercato nero. E nel nostro paese, nelle campagne siciliane, secondo la denuncia di Coldiretti Catania, è molto frequente che vengano rubati quintali di avocado. Insomma il «diamante verde» sta scatenando ovunque il finimondo tanto che in contemporanea è nato un movimento di coscientizzazione ad opera di alcuni chef irlandesi e inglesi come il pluristellato Michelin JP McMahon che lo ha addirittura bandito dai suoi menu proprio per le sue ricadute ambientali e criminali. Anche la Fao è dalla loro parte visto che ha più volte ribadito come la crescita dell’avocado sia diventata insostenibile. I paesi in cui questo frutto incredibilmente assetato d’acqua cresce, infatti, sono in larga parte anche quelli più colpiti da siccità, povertà, traffico di droghe e sfruttamento iniquo del lavoro agricolo. E se per far crescere un singolo avocado si stima che servano 70 litri d’acqua ecco un’altra allerta. 
Lo dimostra il Cile dove l’acqua potabile è in gran parte privatizzata. Chi gestisce le grandi piantagioni di avocado nella regione di Petorca ha, così, installato pozzi e canali illegali per trasportare l’acqua dei fiumi fino ai campi, causando una siccità senza precedenti. Senza parlare poi dell’uso indiscriminato di prodotti chimici e fertilizzanti di scarsa qualità. Insomma, il rischio è che l’avocado faccia la fine della quinoa, altro cibo feticcio i cui prezzi sono arrivati alle stelle tanto che i produttori locali in Sudamerica, alla fine, non l’hanno più mangiata: costa troppo ed è più conveniente venderla.