il Giornale, 19 luglio 2019
Le sottomesse di Bellomo ora sono pm e giudici
C’è chi è venuto allo scoperto, rendendo interviste, come il pm di Massa Alessia Iacopini, secondo cui Francesco Bellomo «era come dottor Jekyll e mister Hyde». Delle altre va tutelata la privacy, perché in questa vicenda rivestono il ruolo di vittime. Ma un dato è certo, ed emerge dalle due inchieste condotte in Italia contro Bellomo, giovane e brillante consigliere di Stato, finito agli arresti dieci giorni fa per avere imposto alle allieve dei suoi corsi obblighi che sconfinavano nel plagio e nella violenza. Le due indagini sono state condotte, con esiti opposti, dalle Procure di Bari e di Milano. È possibile incrociare i dati delle prime due inchieste con due decreti ministeriali: quelli con la data 18.1.2016 e 12.3.2019. Sono i decreti che immettono in ruolo due infornate di centinaia di nuovi magistrati. E si scopre che buona parte delle vittime di Bellomo compaiono nei due elenchi. Oggi, insomma, indossano la toga. Tranne la Iacopini, che fa il pubblico ministero, sono quasi tutti giudici civili e penali. Nei tribunali dove esercitano, i pettegolezzi sul loro passato non mancano. E in qualche modo rischiano di inficiarne la serenità. Prima o poi, un imputato arrabbiato o un avvocato deluso, rinfaccerà: «Ma lei non era una di quelle che per avere la borsa di studio ha firmato il contratto con Bellomo?».
L’inchiesta della Procura di Bari si è chiusa con l’arresto di Bellomo e del suo collaboratore Davide Nalin. Quattro le vittime individuate. Due di queste sono riuscite a diventare giudici. Una è la Iacopini, che le carte dell’indagine di Bari definiscono «legata a lui (Bellomo) da una relazione sentimentale dall’estate 2013 al febbraio 2016», e che avrebbe subito «reiterate e sistematiche condotte di controllo, imposizione, minaccia, vessazione e denigrazione». Un bombardamento di sms cui la vittima a volte cedeva: «Non vorrei perderti (...) La verità è che, anche se sono coinvolta, non riesco ad essere affettuosa e presente quanto meriteresti. E non credo che dipenda dal sentimento, ma dalla mia natura».
Ha superato il concorso per diventare magistrato, e amministra la giustizia in un tribunale del Sud, anche la borsista di Bellomo che ai pm racconta di avere firmato, dopo le ritrosie iniziali, il contratto che le veniva sottoposto dal consigliere di Stato giustificandosi così: «Ero condizionata dalla figura di Bellomo che induceva una certa soggezione. Posso dire che una sorta di venerazione era condivisa da gran parte dei partecipanti al corso. Il motivo che mi indusse ad accettare era la curiosità, una certa attrazione verso questa persona che percepivo come fuori dal Comune».
Il troncone d’inchiesta milanese si è concluso con la richiesta di archiviazione da parte della Procura, secondo cui «nessun comportamento volto a coartare la libertà morale delle studentesse può invero essere ravvisato nella sottoposizione di contratti di collaborazione la cui sottoscrizione, pur nella sua singolarità, era rimessa alla libera volontà delle alunne»; peraltro spesso i contatti non erano unilaterali ma «iscritti nell’ambito di una rete di scambi connotata da reciprocità». Nessuna delle quattro vittime si è opposta alla richiesta di archiviazione: tre di loro nel frattempo sono divenute giudici in altrettanti tribunali del Nord. Il gip Guido Salvini però non è convinto che reato non ci sia stato, e ha fissato udienza per il 16 settembre.