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 2019  luglio 19 Venerdì calendario

La mafia nei giocattoli

Innumerevoli, i tentacoli della piovra mafiosa si allungano ormai su qualunque settore di mercato da catturare. Appena pubblicata, la relazione della Dia (direzione investigativa antimafia) sul secondo semestre 2018 è la fotografia di un’impresa criminale diffusa sul territorio, multinazionale, ad alto tasso di sviluppo, investimento e profitto. In crescita continua.
«Cosa nostra investe dove ci sono i soldi» ha detto ieri al Sole24Ore il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Il documento messo a punto dagli analisti guidati dal generale Giuseppe Governale, direttore della Dia, consegnato al Capo della polizia, Franco Gabrielli, e trasmesso in Parlamento dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sembra un manuale di tecnica economica e finanziaria. Applicata dalla criminalità organizzata.
Le fette di mercato dove mafia, ’ndrangheta, camorra, organizzazioni pugliesi ed etniche si diffondono quasi non si contano più (si veda l’elenco a fianco). La ricognizione della Dia sulle operazioni di polizia giudiziaria mette a fuoco settori particolari: i servizi di scuolabus, il trasporto e vendita di cassette di legno, i prodotti ortopedici, il commercio all’ingrosso dei giocattoli. Dappertutto, «dove stanno i soldi», appunto.
La luna imprenditoriale mafiosa ha due facce, una economica e l’altra finanziaria. Tutte e due nere, ma la seconda di più. Scrivono gli analisti: i mafiosi dimostrano e confermano di «saper variare il “paniere” dei propri investimenti». È la regola aurea della diversificazione del portafoglio. Rinunciano persino a una quota di evasione fiscale: meglio l’elusione. La Dia ha fatto uno studio sui soggetti denunciati e arrestati per reati mafiosi negli ultimi cinque anni (2014-2018), esaminate 12.054 posizioni, i dati ripartiti poi per settore economico (primario, secondario, terziario e terziario avanzato).
I settori terziario e secondario predominano con il 46,8% (5.638) e il 44,8 % (5.394) del totale; seguono il settore primario (6,3 %, pari a 766 posizioni) e il terziario avanzato (2,1%, pari a 256 posizioni). Vale nel quinquiennio ma in particolare, nel 2018, si vede la «prevalenza delle attività economiche del Sud Italia (86,6%) tra quelle infiltrate dai soggetti mafiosi». Sullo stesso piano le attività economiche infiltrate del Nord e del Centro (entrambe al 6,7%)».
Se si guarda la finanza mafiosa lo scenario cambia, è più inquietante. I dati sulle operazioni finanziarie sospette, ripartite per regione, sono chiari: Nord in testa con il 46,3%, Lombardia prima regione con quasi 20mila movimenti finanziari sospetti.
Il paradosso – apparente – è semplice: i mafiosi riciclano meglio e di più nelle regioni meno mafiose. Ma non solo perchè quelle settentrionali sono le più produttive. Lì la criminalità organizzata utilizza «soprattutto dei prestanome»: personaggi insospettabili, il più possibile accreditati nel tessuto sociale. Al contrario «in molte realtà del Sud Italia operano istituti di credito di piccole dimensioni, in alcuni casi addirittura mono-sportello». Dove «i mafiosi potrebbero esercitare una pressione tale da rendere difficoltosa per l’operatore della banca l’effettuazione di una segnalazione di operazione sospetta». Per star tranquilli, insomma, di gran lunga meglio investire al Nord.
Certo, dopo la Lombardia (19.752 operazioni sospette) ci sono la Campania (17.660) e il Lazio (10.639). Ma poi subito dopo arriva l’Emilia Romagna (9.812) e quasi a pari merito Veneto (6.673) e Piemonte (6.656), che battono la Sicilia, e a seguire la Toscana (5.781). Quella del Nord si può chiamare per la Dia «una mafia latente». Ma che «potrebbe, in prospettiva, manifestarsi con caratteri più evidenti».
L’insidia finanziaria mafiosa, in maggioranza azionaria nel Nord Italia, mostra una criticità emergente ancora più preoccupante. Scrivono i tecnici guidati dal generale Governale: davanti a questa evoluzione la competenza territoriale degli uffici giudiziari diventa un limite grave. «I fascicoli processuali tendono a essere attratti dai distretti giudiziari in cui la consorteria mafiosa si è storicamente sviluppata». La conseguenza è nefasta: «Una limitata possibilità di perseguire l’azione illecita da parte dei distretti del Centro-Nord, in cui oggi invece si manifestano con sempre maggior forza le attività economico-finanziarie delle mafie». La Dia lo definisce «un vulnus che non può più essere trascurato».
Il dato del Nord, tuttavia, non deve mai far dimenticare come «in molte aree del sud l’arretratezza economica e il disagio sociale rappresentano l’humus che rigenera le strutture mafiose». E dunque «c’è bisogno di una presa di posizione decisa contro una microcultura mafiosa che è cresciuta progressivamente in tutto il Paese, spogliandosi della sue veste violenta e sfruttando l’insensibilità e la sottovalutazione». Una denuncia drammatica: c’è «una mancanza di allarme sociale – secondo fattore che ha favorito lo sviluppo al Nord – che sembra aver anestetizzato la coscienza collettiva rispetto alla pervicacia delle mafie».