la Repubblica, 19 luglio 2019
Al Tour il mistero Dennis
Sembrava la giornata buona per Matteo Trentin, è stata la giornata buona per Simon Yates. Alla Mitchelton-Scott sono contenti lo stesso, in Valsugana un po’ meno. Sui Pirenei, Trentin è votato come combattivo del giorno e se è deluso per non essere arrivato coi primi lo nasconde bene. «Abbiamo fatto un buon gioco di squadra, va bene così». Si sapeva da quando il Tour è stato presentato che questa sarebbe stata la tappa più moscia, per quanto riguardava l’alta classifica. Dalla cima dell’Hourquette d’Ancizan, salita che suona come una contessina, all’arrivo 30 km di discesa. E, dopo 130 di pianura, il Peyresourde era un aperitivo digeribile. Una montagna povera, rattoppata di verde: così la descrisse Alfonso Gatto. Ma montagne molto ricche, in questo pezzo di Francia, non ce ne sono, tolto forse il Tourmalet con le sue stazioni di risalita. Ci veniva in vacanza Macron, alla Mongie, quando non era ancora inquilino all’Eliseo. E ci arriverà domani, in elicottero. Forse Alaphilippe avrà ancora addosso la maglia, forse gliel’avrà tolta Thomas, uno dei favoriti nella crono di oggi (27 km), tanto più dopo il ritiro di Rohan Dennis, campione del mondo in carica nella prova contro il tempo. Quasi impossibile da capire, nei tempi e nei modi. Questo suo ritiro, al rifornimento, dopo 116 km, quand’era tra i quaranta della Grande Fuga, ha ancora molte zone d’ombra ed è pian piano lievitato fino a diventare il caso del giorno. Accantoniamolo per un po’ e partiamo dalla partenza.
Per arrivare al via, a Tolosa, i corridori devono pedalare per 11 chilometri, ma fa fresco, sui 22 gradi, il cielo è pieno di nuvole e nessuno si lamenta. Quelli della Dimension Data sono tutti in arancione per ricordare il Mandela day. Non parte Philipsen. Si ritira Nizzolo, segnato da una caduta. Contador, in corsa come commentatore di Eurosport, si ferma e s’informa sulla sua salute. Dopo molti tentativi (Sagan, Dennis, Trentin, Caruso e Bonifazio a turno) di fuga controvento, la situazione di sblocca quando il vento cambia direzione e soffia alle spalle della corsa. Parte una fuga massiccia, con la benedizione della maglia gialla presente e futura, e nella quarantina di corridori sono rappresentate 18 squadre. Non l’Ineos, che sceglie la tranquillità. Davanti c’è di tutto. Velocisti: Sagan, Colbrelli, Matthews, Trentin, Kristoff, Pasqualon. Molti di loro vanno avanti per non restare indietro, è normale. Passisti: Dennis, Bettiol, Oss, Boasson Hagen, Mühlberger, Benoot. Combattenti: Clarke, Felline, Pello Bilbao. E deludenti, finora, come Simon Yates. Chiaro che questo gruppazzo di spezzetterà. Colbrelli prova l’azione solitaria ma non sfonda, poi tocca a Calméjane. Idem. A tre km dalla cima dell’Hourquette tocca a Clarke, l’australiano che vive a Cantello, provincia di Varese, che ha fama per i suoi asparagi. Qui la fama è tutta del maiale nero di Bigorre, cucinato in tutte le salse e anche non cucinato (prosciutti, salami, salsicce, sanguinacci). Mi dice un vecchio paesano: «Tutti bravi adesso, il Nero di qua, il Nero di là. Ma nel 1981 s’è sfiorata l’estinzione: in tutto erano rimaste 34 scrofe e solo due maschi». Prendo nota. Intanto Trentin, raggiunge e supera Clarke. Poi è scavalcato da Yates che in discesa, con Mühlberger e Pello Bilbao, fa il vuoto. E sul traguardo fa valere l’esperienza da ex pistard e, dopo un brutto Giro, si rifà il morale. Al contrario Nibali, dopo un bel Giro, sta vivendo un Tour pesante e spinoso. Se uno come lui in una tappa non durissima arriva insieme a Groenewegen, a 19’ da Yates, a oltre 9’ dal gruppo dei migliori (qui, almeno, Aru e Ciccone) significa che qualcosa o molto non va. Disturbi gastrointestinali, forse anche disturbi di squadra, visto che lascerà la Bahrain per la Trek.
Dennis, adesso. Si ritira e sale sull’auto di un massaggiatore, di quelli che curano il rifornimento. Arriva al traguardo per vie secondarie, sale sul pullman della squadra (la tappa è in pieno svolgimento), ritira alcuni effetti personali e se ne va sull’auto del suo procuratore, che non è uno qualunque ma Andrew McQuaid, figlio dell’ex presidente dell’Uci. Per tre ore, dopo l’arrivo, quelli della Bahrain lo cercano e non lo trovano, oppure è lui che non si fa trovare. Non chiarisce le cose un tweet apparso sul sito della squadra, ben prima che Simon Yates alzasse le braccia. Ecco il testo: «La nostra priorità è la salute di tutti i nostri corridori, quindi avvieremo un’indagine immediata ma non commenteremo ulteriormente finché non avremo stabilito cosa è successo a Rohan Dennis». Questo accenno alla salute dei corridori mette più d’una pulce nell’orecchio dei suiveurs. Dennis ha un carattere difficile, questo si sapeva, ma stava benissimo, così dice chi l’ha visto oltre il traguardo. Litigio con qualcuno dello staff? No, non ne sappiamo niente, dicono il ds Stangelj, il preparatore Slongo, il massaggiatore Pallini, il portavoce Pizzorni. Beghe contrattuali? Ha un contratto fino a tutto il 2020. O forse aveva. È gravissimo abbandonare la squadra senza un valido motivo e per giunta alla vigilia di una crono che poteva arricchire il bilancio di una squadra in cui solo la vittoria di Teuns attenua il dispiacere per la presenza-assenza di Vincenzo nostro. E se qui qualcuno ha sbagliato i conti, nel caso- Dennis può essere lui ad avere sbagliato tutto. Passate le 22 Dennis si presenta all’albergo della squadra e ha un lungo colloquio con lo staff tecnico. In sostanza, chiede scusa, dice che da mesi è sottoposto a uno stress molto forte, che l’ha portato ieri al punto di rottura. Questa è la versione ufficiale, liberi di non crederci.