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 2019  luglio 19 Venerdì calendario

I chilometri di Enrico Brizzi

Enrico Brizzi è al suo sesto romanzo da narratore e insieme camminatore. «Il diavolo in Terrasanta», edito da Mondadori, è ispirato al suo viaggio a piedi da Roma a Gerusalemme, un viaggio lungo tre mesi, e lo consacra portabandiera di quei 32.338 che, nel 2018, hanno percorso passo passo i 6.600 chilometri di cammini italiani, un popolo quasi raddoppiato negli ultimi tre anni.
Brizzi, è nata prima l’idea di scrivere di questo viaggio o la voglia di farlo?
«Ogni viaggio nasce da uno precedente. Nel 2006, ero andato da Canterbury a Roma e, da lì, immaginare un’ideale prosecuzione verso Gerusalemme è stato naturale. Avevo fatto la via Francigena, ancora poco conosciuta in Italia, tanto che, quando proposi un reportage a un giornale, mi guardarono come se fossi uno che va in giro su una cornamusa. Non capivano cosa ci fosse da raccontare su uno che cammina».
E che cosa c’è da raccontare su uno che cammina?
«Che quando arriva alla fine del viaggio non è uguale a quando è partito. Andare da Roma a Gerusalemme, per esempio, significa partire dal luogo dove tutto può essere dissacrato, perché Roma è la città del potere dove si sopravvive col sarcasmo, e arrivare nel luogo dove tutto è sacro. I personaggi del libro si confrontano con la dimensione dell’assoluto, con pensieri che hanno a che fare con il perché siamo sulla Terra e dove andremo a finire».
E lei, mentre andava a Gerusalemme, a piedi e per un tratto su una vecchia barca, con cosa si è confrontato?
«Il viaggio risale al 2008. Ero nei primi trent’anni, nell’età in cui tendi a sentirti dalla parte dei buoni, ma inizi a fare i conti col fatto che, a volte, non sei solo il perseguitato, ma anche il carnefice di qualcun altro. Il che, fuor di metafora, su quel cammino, fa il paio col cristianesimo, che è la religione dell’“ama il prossimo tuo” ma anche la religione che ha sterminato migliaia di infedeli nel Medioevo».
Come ha iniziato a camminare?
«Per cultura familiare, perché sono stato scout, e perché, a vent’anni, l’amico viziato aveva il papi che gli aveva comprato l’auto e io avevo l’opportunità di vedere gratis posti meravigliosi. Il primo viaggio di tre mesi sulla Francigena è stato impressionante. Capisci che nel XXI secolo, per andare a Roma, ti servono gli stessi giorni di un pellegrino dell’anno Mille. È qualcosa che ti proietta in una dimensione onirica: senti vicino tanti che hanno percorso quella strada e sono nei libri di storia. Poi, arrivando a Roma, ti prende la vertigine: sei felice di essere a casa, poter fare la doccia quando vuoi, ma senti che la sensazione di essere padroni del proprio destino svanirà e tornerai alle prese con cellulari, tasse, semafori».
Perché ci si sente «padroni del proprio destino»?
«Perché la vita di città è costruita per ridurre lo stress di decidere, ma sui sentieri sei sempre di fronte a dei bivi e, se vai a destra, la strada di sinistra è perduta per sempre. Ovvero: uccidi il te stesso che sarebbe andato a sinistra. In una giornata di cammino, di decisioni ne hai prese a decine ed è come aver vissuto dieci giorni».
Pericoli ce ne sono?
«Mi è capitato di trovarmi una pistola puntata addosso. A metà di un sentiero pubblico, sbuca un tizio dicendo che era proprietà privata. Visto che non sono Clint Eastwood, ho girato i tacchi. Però, statisticamente, i pericoli più frequenti sono il maltempo in montagna e l’incontro coi cani randagi».
Lei come si allena e quanti cammini fa?
«Il mio mestiere ordinario è stare seduto al computer, ma faccio 10 km a piedi ogni giorno. E ogni anno, sto via da uno a tre mesi. Spesso, anche solo per due giorni, per respirare nel mezzo di un periodo di lavoro intenso».
L’ultimo rapporto della World Tourism Organization dell’Onu ha selezionato la Francigena fra i migliori percorsi al mondo, lei come l’ha vista cambiare?
«Molto e in meglio. Oggi è ben segnalata e trovi paesini con nuove locande o bar che offrono la colazione del pellegrino: segno che il turismo cresce. Mi ha chiesto tutto, ma non se sono felice».
Lo è?
«Sempre, quando cammino con le mie quattro figlie, che hanno dai sette ai 15 anni e amano tutte camminare a piedi con me, con i loro zainetti in spalla».