Avvenire, 19 luglio 2019
I Papi e la Luna
C’è stato un tempo in cui la corsa allo spazio non avrebbe mai immaginato equipaggi come quello con cui due anni fa ha dialogato papa Francesco – l’Expedition 53 – tre statunitensi e due russi, oltre a Paolo Nespoli. Per anni Usa e Urss si erano sfidate nell’esplorazione del cosmo: un capitolo della Guerra Fredda. E per anni la Chiesa non aveva mostrato simpatia per queste sfide nell’alto dei cieli. Poi però un dialogo si è instaurato tra i Papi e i cosmonauti di qualsiasi nazione.Già Pio XII nel 1956 aveva chiesto che lo «sforzo comune dell’umanità verso una pacifica conquista dell’universo potesse imprimere maggiormente, nella coscienza degli uomini, il senso della comunità e della solidarietà». Ma è dopo il volo sovietico intorno all’orbita terrestre nel 1962 e dopo l’allunaggio americano di cinquant’anni fa, con gli astronauti tornati quaggiù, che si è fatta più assordante l’antica domanda sul posto dell’uomo nell’universo. Domanda rinnovata pure dai Papi di quei periodi. Si pensi alle parole pronunciate a Castel Gandolfo il 12 agosto 1962 da Giovanni XXIII (il Papa che la sera dell’apertura del Concilio avrebbe invitato tutti ad osservare la Luna), dopo che le prime astronavi sovietiche avevano aperto le porte del cosmo: «Oh! Come vorremmo che queste intraprese assumessero significato di omaggio reso a Dio creatore e legislatore supremo. Questi storici avvenimenti (…) possano divenire espressione di vero e pacifico progresso, a solido fondamento della umana fraternità». E si rileggano le parole di Paolo VI nel 1969. Aveva affermato prima dell’allunaggio: «Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento; a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso (…). Che cos’è l’universo, donde, come, perché? (…) E chi è l’uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso(…). E qui è il pericolo (…). È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l’efficienza dell’uomo; ma questa efficienza è sempre a suo vantaggio?». E aggiungeva: «Tutto ancora dipende dal cuore dell’uomo». E il 21 luglio così si rivolgeva ad Armstrong, Aldrin e Collins: «Gloria a Dio! E onore a voi, uomini artefici della grande impresa spaziale!». In occasione dell’allunaggio Paolo VI pronunciò anche un’altra frase: «Ancor più che la faccia della Luna, la faccia dell’uomo s’illumina davanti a noi». Così il Papa che, seguìto l’evento sul televisore, ricevette i cosmonauti nell’ottobre successivo e contraccambiò il dono di un ciottolo lunare con una ceramica raffigurante i Magi.Atteggiamenti d’incoraggiamento verso le imprese spaziali (possibilmente senza posarci sopra bandiere che – indirettamente – suggeriscono l’idea di chi fissa la sua sovranità, quasi a rivendicare un dominio, escluso delresto dal diritto aerospaziale), hanno caratterizzato i successivi pontificati. Wojtyla, il 2 ottobre 1984 rimarcò i vantaggi grazie ai satelliti per l’eliminazione dell’analfabetismo, avere indicazioni sulle coltivazioni, i flussi delle acque, le condizioni atmosferiche, per impedire l’avanzata dei deserti, i disastri ecologici: temi della Laudato si’. Altre volte invece auspicò sforzi per rendere il sistema solare la casa dell’unica famiglia umana: pure leitmotiv dell’attuale pontificato. Né andrebbe dimenticato il colloquio nel 2011 tra Benedetto XVI e gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale sull’ambiente, la solidarietà, la pace, insieme ad una sua conferenza del 1970. In essa, spiegando la Chiesa, richiamava proprio il simbolismo lunare: «L’astronauta e la sonda lunare scoprono la luna solo come roccia, deserto, sabbia, montagne, ma non come luce. E in effetti essa è in se stessa soltanto questo (…). Tuttavia, per merito di altri e in funzione di altri ancora, essa è anche luce e rimane tale anche nell’epoca dei viaggi nello spazio. È quindi ciò che non è in se stessa. L’altro, ciò che non è suo, fa comunque parte anche della sua realtà. Esiste una verità della fisica e una verità poetico-simbolica e l’una non annulla l’altra». E concludeva: «Questa non è forse un’immagine molto precisa della Chiesa?».