Avvenire, 19 luglio 2019
Seimila anni di storia del pane
Curioso che la pubblicazione di questa storia del pane sia apparsa nel giro di qualche mese presso due case editrici italiane. Non più ristampata dopo la prima pubblicazione nel 1951 da Garzanti (ma l’edizione originale è del 1944), a marzo circa l’ho intravista nelle vetrine delle librerie milanesi per i tipi di Res Gestae. Non poteva passare inosservata la storia culturale di un elemento costitutivo non solo della nostra alimentazione ma, soprattutto, della nostra umanità. E infatti il sottotitolo recitava «storia sacra e storia profana», dove per profana s’intende la modernità industriale che di questo elemento, come di molti altri, ne ha fatto un’occasione di speculazione e commercio, nonché di sviluppo tecnologico e scientifico. Sulla mia scrivania, invece, l’opera ricompare dopo solo tre mesi, nelle vesti date dalle austere copertine di Bollati Boringhieri (e scompare dal catalogo di Res Gestae: c’è stata all’origine di questo “caso strano” una contesa editoriale?). Quale sorpresa nel constatare che, in entrambi i casi, si trattava, niente di meno, ma anche niente di più, della ristampa anastatica della traduzione del 1951 di Oreste Rizzini. Il libro distende per 462 pagine l’affascinante storia del pane. Dal frumento alla farina, alla lievitazione, alle guerre provocate dalla sua penuria; dalle civiltà attraversate dalla coltura dei grani, agli interdetti religiosi (perché gli ebrei lo preferiscono azimo, senza lievito e l’ostia dei cattolici altrettanto?); dai deficit proteici provocati dalla molinatura delle farine fino alla loro ricostituzione attraverso gli additivi; dalla selezione dei grani, dove vengono messe alla prova le teorie di Mendel o Lysenko sull’ereditarietà delle specie, fino agli istituti giuridici ed economici che ne hanno garantito od ostacolato la circolazione, provocato guerre e rivoluzioni, impedito o favorito sviluppi tecnologici. Per non parlare di come l’economia del grano abbia plasmato e indirizzato lo sviluppo e il carattere del continente nord-americano e non solo, i rapporti tra campagna e città.
Il libro di questo giornalista e scrittore tedesco di origine ebraica, fuggito
negli Stati Uniti, autore di biografie su Mozart, Mendelssohn e Johann Strauss e sul caffè (sì, anche il chicco d’oro merita una biografia), è un piccolo capolavoro di sintesi e scrittura (la traduzione, però, meritava una rinfrescata). La quantità di informazioni e risvolti storici di cose che diamo per scontate è impressionante e non soltanto sul piano della mera storia materiale. Il fatto stesso che non ci sia religione, monoteista o politeista, amerinda o mediterranea, che non abbia impastato, mi si permetta lo scherzo, il suo rapporto con il divino con i frutti frantumati della spiga di grano o, ancora più sorprendentemente, alcuni movimenti politici moderni abbiano fatto della falce o del fascio simboli vitali della loro capacità attrattiva, indica la centralità della cultura del pane.
Davvero notevole la capacità di Jacob di restituire in sintesi, non esente qualche volta da critiche alla Chiesa, il rapporto che il cristianesimo ha istituito con il pane. La sua, ovviamente, non è una visione cattolica, ma le sue considerazioni sono percorse dall’ammirazione per lo straordinario rapporto che Cristo ha avuto con le sementi e la complessa rete di corrispondenze che la cultura religiosa del suo tempo e dei suoi correligionari ebrei hanno saputo mantenere con i frutti della terra, in diretta concorrenza con le mitologie mediterranee. Basterebbe solo il “Padre nostro” per farci assaporare la grande capacità che il pane ha di indicarci ciò che è davvero in gioco nella straordinaria avventura umana.
E a ben vedere, nemmeno la modernità, ben rappresentata dal romanzo americano The Pit: A Story of Chicago di Frank Norris del 1903 (tradotto qualche anno fa da Medusa col titolo Chicago, seconda parte di una trilogia del grano nella quale i temi di Jacob sono raccontati con maestria e all’opera di Norris, maestro dei grandi scrittori americani come Steinbeck e Faulkner, poco conosciuta in Italia lo stesso Jacob dedica molte osservazioni) nel quale si racconta la speculazione sul frumento avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, riuscirà a rompere la sacralità simbolica che lega il pane al destino degli uomini su questa terra e in quella futura.