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 2019  luglio 18 Giovedì calendario

La terza stagione della Casa di carta

Un pupazzo che indossa la tuta rossa e la maschera di Dalì campeggia in piazza Borsa, inglobando la scultura col “dito medio” di Maurizio Cattelan: Milano ha accolto i protagonisti della Casa di carta, serie cult di Netflix (da domani la terza stagione) come star. I ladri Robin Hood che hanno conquistato il mondo espugnando la Zecca di Spagna diventando il simbolo della protesta, tornano a riunirsi. Addio Caraibi, Rio (Miguel Herrán) è stato arrestato, il Professore (Álvaro Morte) pensa a un piano per liberarlo e progetta la rapina del secolo: svuotare le riserve d’oro della Banca centrale. Per creare un diversivo, su Madrid pioveranno milioni di banconote. Il resto è tutto da vedere.
Fenomeno di costume, la serie ideata da Álex Pina mette al centro figure femminili interessanti. Al termine del secondo capitolo la tetragona ispettrice di polizia Raquel Murillo (Itziar Ituño) aveva fatto il salto della barricata e si era unita alla banda, nome di battaglia Lisbona, per seguire il Professore. Le donne, diversissime tra loro «cercano il loro posto ma si muovono in un mondo pieno di testosterone». Parola di Úrsula Corberó, 29 anni, che interpreta la felina Tokyo. Mora, mini di latex, tacchi a spillo, spiritosa e sicura di sé, seduta nel salone di un albergo milanese schiaccia una zanzara col cellulare e continua a parlare. Le siede accanto Esther Acebo, 36 anni, che è Monica, la segretaria della Zecca, amante del vigliacchissimo direttore. Incinta di lui, da ostaggio diventa bandita (nome di battaglia Stoccolma) e trova l’amore in Denver (Jaime Lorente). Salopette becco d’anatra, è fiera dei ricci biondi, molto criticati quando tentava la carriera di attrice. «Alla fine sono fiera dei no ricevuti, e anche in questa serie recito con i miei capelli naturali. Lisci non funzionavano». Le chiome giocano un ruolo, non a caso Corberó sottolinea come Tokyo sia maturata e lei ci abbia dato un taglio. «Era fondamentale che avesse i capelli corti, mi sono imposta coi produttori: basta con la frangia». A cinque anni le piaceva stare sul palcoscenico: «I miei genitori non avevano trascorsi artistici, papà è falegname. Devo tutto a mia madre, che mi ha sostenuto: “La bambina vuole fare l’attrice, informiamoci”». Il successo della serie le ha travolte. «Aveva funzionato bene in Spagna» racconta ancora Corberó «ero in Uruguay e mi chiamavano “Tokyo! Tokyo!”, ho pensato: “Strano, le uniche persone invitate a questa festa sono quelle che hanno visto La casa di carta. L’avevano vista tutti». «Non ci siamo ancora rese conto di quello che è successo» spiega Acebo «per me era un capitolo chiuso, invece dopo la terza stagione faremo anche la quarta». Le donne sono forti, Tokyo è travolgente. E sexy. «Non credo che sia una serie femminista però contiene un’essenza femminista», osserva, «i personaggi femminili sono potenti perché hanno una storia e una vita. Se all’inizio c’è un patriarcato, dura comunque poco. Mi emoziona quando le ragazze mi fermano: “Che bello quando sei entrata nella zecca con la moto!”, mi piace che arrivi la forza, l’idea di poter fare tutto. Mi piace quando dicono che Tokyo è sexy perché lei non si trucca, lo è nella testa perché ha potere. Esiste il girl power». «Sono d’accordo», dice Acebo, «non è una serie femminista ma dà modo alle persone di vedere donne vere, che non accompagnano gli uomini, hanno qualcosa da dire e da fare. Monica si riscatta, è una donna con una vita standard che poi rivendica un ruolo». Sono simpatiche ladre, alla fine. «Rubare non sta bene ma se rubi a quelli che rubano, come faceva Robin Hood, la cosa cambia», ribatte Corberó. «Ha un valore simbolico e profondo. La gente s’identifica, questa storia ti dice che da solo non conti ma l’unione fa la forza, specie in questo periodo. La fiction dà alle persone una speranza di riscatto». Nella vita vorrebbe un fidanzato come Rio? «Certo, lascia essere Tokyo così com’è, non la forza mai». Esther, vorrebbe un tipo come Denver al suo fianco? «Lui è onesto e protettivo, ma controlla tutto. No, non vorrei essere così controllata. Meglio libera».