ItaliaOggi, 18 luglio 2019
Ritradotto Cioran, il nichilista
Ero in Romania per alcune conferenze all’Istituto Italiano di cultura. Naturalmente mi sono trattenuto alcuni giorni per compiere quattro pellegrinaggi. Il primo, ovviamente, a Tomi, sulla tomba di Ovidio. Gli altri per onorare i tre più grandi scrittori rumeni del Novecento: a Bucarest Mircea Eliade, a Slatina Eugène Ionesco, a Sibiu Emil Cioran. Diversi, ma anche simili testimoni del dramma dell’uomo attuale. Di Cioran (1911-1995), oltre alle opere classiche pubblicate da Adelphi, continuano a uscire inediti, epistolari e antologie. Il più recente è il Breviario dei vinti (Voland, pp. 148, euro 13), un insieme di aforismi scritti nella lingua materna a Parigi tra il 1941 e il ’44, poi tradotto, come tutte le sue opere, in francese. La Francia era occupata dai tedeschi e Cioran aveva perduto e rinnegato quell’entusiasmo per Hitler che aveva nutrito in Germania nel 1933: «Non c’è uomo politico al mondo d’oggi che mi ispiri più simpatia e ammirazione di Hitler». Egli ha ormai definito quel pessimismo nichilistico, che lo accompagnerà sino alla fine: tragico, mai compiaciuto; realistico mai utopico; virile mai lagnoso, forse cinico, mai sentimentale. Che i suoi sostenitori italiani (Rigoni, Ceronetti, Volpi) hanno paragonato a quello di Giacomo Leopardi.
Nel corso degli anni, Cioran enuncerà e accentuerà il suo pessimismo nichilistico. I titoli delle sue raccolte di pensieri rientrano tutte in questa visione sconsolata della realtà: Al culmine della disperazione; Sommario di decomposizione; Sillogismi dell’amarezza; La tentazione di esistere; La caduta nel tempo; L’inconveniente di essere nato; Squartamento; Il cattivo Demiurgo, tutte riunite nelle Oeuvres (Gallimard, 1820 pp.).
Sempre pessimismo, ma con una fantasia e originalità sconvolgente. E con una lingua amara e misantropa, temperata e riscattata dall’ironia e dall’eleganza: un Pascal blasfemo, uno Schopenhauer senza attesa della luce, un Nietzsche privo del fantoccio del Superuomo, un Leopardi lontano della corbelleria della solidarietà umana. Cioran sa e ripete che per salvarsi ciascuno di noi ha un solo modo, capire che tutto è dannazione. Come lo aveva capito l’Alighieri: «La trilogia di Dante presenta un inferno esatto come un verbale, un purgatorio falso come ogni esaltazione al cielo, un paradiso come sfoggio di insulsaggini».
Motivi pessimistici sulla sorte della civiltà occidentale non mancano certo nella letteratura e nei media attuali. Quasi sempre accompagnati da una speranza di recupero e da indicazioni per cambiare la via verso il Nulla. L’originalità di Cioran è di rifiutare ogni attesa e ogni mutamento. Anche perché tutte le civiltà, come tutti i loro viventi, anche se pochi lo capiscono fino in fondo, esistono solo per spegnersi nel Niente, viviamo, non sappiamo perché, sarebbe meglio finire una esistenza inutile e deludente, ma il pensiero del suicidio ci è utile e di conforto; la vita è male, non l’ha creata un Dio, ma un «mauvais Démiurge»; tutto è illusione, anche la filosofia, che non serve a trovare la verità, ma a distruggere l’inganno del vivere.
E la stessa religione è un mito (poco) consolatorio: «Dio è una allucinazione e il paradiso geme al fondo della coscienza mentre la memoria piange; nella vita tutto è delusione e rimpianto, anche la santità» Cioran insegna la distruzione degli idoli e la conquista di una coraggiosa indifferenza: «L’Occidente è una possibilità senza domani. Siamo maturi per scomparire. Tra cinquant’anni Notre Dame sarà una moschea». Eppure anche Cioran s’è contraddetto.
A causa dell’amore. Nella mansarda, dove viveva con la moglie Simone Boué, giunse una giovane scrittrice e filosofa tedesca, Friedgard Thomas. Dalle lettere ch’egli le mandava possiamo seguire il risveglio nell’apatico e misantropo Cioran della passione erotica (cfr. la raccolta Per nulla al mondo: un amore di Cioran, Orecchio di Van Gogh, pp. 140, euro 15). Il rapporto tra i due continuò per alcuni anni, le espressioni di lui erano appassionate: «Lei è divenuta il centro della mia vita, la dea di uno che non crede in nulla, la più grande felicità e sventura che mi sia capitata» (1981). Talvolta anche erotiche: «Vorrei sprofondare per sempre la mia testa sotto la sua gonna». Ma lei si abbeverò della straordinaria cultura letteraria di Emil, ma non volle avere rapporti intimi: «Non si scopa con l’intelligenza».
Una metamorfosi profonda per un uomo che aveva vilificato gli aspetti positivi della vita: «La felicità paralizza il mio spirito, la riuscita della vita mi svuota di me stesso e la fortuna in amore cancella le tracce della grandezza. L’io è assente nella felicità». La sua radiologia nera coglie aspetti indiscutibili del Novecento, ma risulta, tutto sommato, insufficiente e contraddittoria. Non vi troviamo, neppure in forma ipotetica, il bene e la speranza, la gioia e la solidarietà, senza i quali lo stesso non niente del tutto perde ogni significato.
Solo a 72 anni scoprì ciò che entusiasma ed esalta i giovani. Cioran è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento. Il vecchio che così tardi si innamora è un secondo Cioran, non meno importante del primo.