La Stampa, 18 luglio 2019
Golfo, è finito l’idillio tra i principi
La luna di miele fra Mbs e Mbz sembra finita, ed è l’uomo forte degli Emirati in questo momento ad avere la meglio nella lotta per la leadership nel Golfo. Sotto la spinta dei due principi ereditari, Mohammed bin Salman e Mohammed bin Zayd, Riad e Abu Dhabi hanno forgiato una formidabile alleanza pro-occidentale, e pro-Israele. Ma da qualche mese i motivi di contrasto si sono moltiplicati. Il caso Khashoggi ha indebolito la presa di Mbs sull’Amministrazione americana e il più navigato Mbz ne ha approfittato per allargare la sua. E imporre un’agenda che ormai si discosta da quella del trentenne amico-rivale.
Il primo motivo di scontro è lo Yemen. Oltre quattro anni di una guerra costosissima hanno sfibrato l’alleanza. L’unico collante è l’ostilità contro i ribelli sciiti Houthi. Abu Dhabi però è contraria a una guerra a oltranza e a un assalto a Sanaa, con il corollario di vittime civili che offuscherebbero la sua immagine. Il principale obiettivo è adesso trasformare il territorio lungo la costa del Golfo di Aden e l’isola di Socotra in una zona di influenza esclusiva. Per questo appoggia movimenti milizie secessioniste del Sud, come il Southern Transitional Council guidato da Aidaroos al-Zubaidi, in lotta aperta con il governo del presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, rifugiato a Riad perché ormai privo di appoggi solidi anche ad Aden.
La frattura con i sauditi si è esplicitata nell’offensiva per strappare agli Houthi il porto di Hodeidah. Un’operazione che gli emiratini non ritengono più fattibile. E infatti hanno già chiuso la loro base Al-Khoka, vicino alla città, e ritirato carri armati, elicotteri e armi pesanti dall’area. Per il Wall Street Journal il ritiro dalla costa yemenita sul Mar Rosso è in fase avanzata. Abu Dhabi, si è giustificata, ha spiegato che si tratta di un «riposizionamento» e che la missione sarà ripensata in base alle priorità strategiche, «soprattutto per combattere Al-Qaeda, lo Stato islamico». Al centro dei contrasti c’è però anche la contesa per la provincia ricca di petrolio di Shabwah, e soprattutto una diversa visione sul «che fare» dello Yemen. Per l’Arabia Saudita è «cuscinetto di sicurezza», gli Emirati ci vedono una base indispensabile per realizzare la loro «collana di perle», un’infilata di porti e basi che dal Golfo Persico arrivano al Mar Rosso e al Mediterraneo.
Questo progetto alla cinese si scontra con l’ipotesi di una guerra all’Iran. Da qui il secondo scollamento fra Mbs e Mbz. Il principe emiratino vede in Teheran un nemico pericoloso, da tenere a bada, ma non fino al punto da danneggiare la propria economia. Abu Dhabi, per esempio, si è rifiutata di dare la colpa all’Iran del sabotaggio di quattro petroliere davanti al loro porto di Fajairah e frena sull’ipotesi di raid. Ha anche inviato una delegazione a Teheran per mediare. Abu Dhabi vive di petrolio e potrebbe anche adottare una linea più dura, ma per Dubai, il motore commerciale del Paese, gli scambi con l’Iran sono indispensabili. Per uno dei paradossi tipici del Medio Oriente, persino tre isolette occupate dallo scià nel 1971 e rivendicate dagli Emirati - Abu Musa, Grande e Piccola Tunb - sono diventate un centro di transazioni clandestine al riparo delle sanzioni, proprio perché la loro sovranità è contesa e portare merci su quel territorio non comporta varcare una frontiera riconosciuta.
La partita in Sudan
La frattura Mbs e Mbz si vede anche in Sudan, dove il fronte del Golfo è stato meno compatto nel difendere la giunta militare e l’opposizione è riuscita a ottenere un accordo per arrivare a un governo civile entro 21 mesi. Abu Dhabi resta però adamantina nel contrasto a qualsiasi velleità dei Fratelli musulmani. Per Bin Zayed la Fratellanza è il nemico numero 1, un’ostilità persino superiore a quella coltivata da Bin Salman. Per questo il sostegno al generale Mohamed Hamdan Dagalo, l’uomo forte della giunta, non si è interrotto. Come del resto quello a Khalifa Haftar in Libia. Scelte che pesano perché, come sottolinea il New York Times, «Trump adotta spesso la visione del principe, anche contro il parere dei propri consiglieri».