Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2019
Intervista a Francesco Lo Voi
Un fiume di denaro reinvestito e reso pulito. Difficile da trovare. È il tesoro degli Inzerillo, la famiglia mafiosa di Palermo scappata dalla Sicilia negli anni Ottanta per la condanna a morte di Totò Riina. Appartengono a quella famiglia alcuni dei soggetti arrestati ieri: operazioni tra Palermo e New York condotte dalla Squadra mobile di Palermo e dall’Fbi che hanno colpito anche i Gambino, altra famiglia mafiosa di peso. E da New York potrebbero arrivare spunti investigativi per scoprire il patrimonio di queste due casate di rango della Cosa nostra italo-americana. Perché la pista degli affari di mafia resta sempre in primo piano. Lo dice il capo della Procura antimafia di Palermo Francesco Lo Voi: «Il sequestro eseguito in questa operazione si riferisce ai reati contestati di intestazione fittizia. Va circoscritto dunque a queste indagini. Abbiamo visto che le famiglie mafiose continuano a operare grazie a prestanome nei settori della ristorazione e nell’ambito dei giochi online che servono sia per continuare a fare denaro sia per riciclare».
Che fine ha fatto il denaro accumulato grazie al narcotraffico?
Le indagini finanziarie, come lei sa, non solo nei confronti degli arrestati hanno un versante penalistico e uno delle misure di prevenzione e vanno avanti. I soldi derivanti dal traffico di stupefacenti non erano solo in possesso degli Inzerillo. A cominciare dal Maxi processo è stato provato che erano coinvolti tutti gli esponenti di Cosa nostra.
Va bene, ma gli scappati ne avevano abbastanza: c’è chi parla di 130 miliardi di lire, che oggi possono sembrare, diciamo, ben poca cosa ma negli anni Ottanta...
Giuseppe Di Lello, magistrato e acuto osservatore del fenomeno mafioso ha detto che probabilmente i soldi accumulati da Cosa nostra con il traffico internazionale di stupefacenti degli anni 70 e 80 non saranno mai trovati. Il ragionamento fatto da Di Lello ha un suo fondamento perché quel denaro è stato riciclato, reinvestito, si è mosso in mille direzioni.
Insomma ha cambiato forma.
Esatto. E tutto ciò rende più difficili anche le indagini attuali. Poi noi scopriamo continuamente colletti bianchi che si mettono a disposizione dei mafiosi per nascondere il denaro.
È possibile che quei soldi stiano per tornare in Italia magari in società figlie di quella trasformazione?
Questo è sempre possibile. Ma dobbiamo tenere conto di un fatto: oggi non ci sono più le grandi forme di finanziamento statale del passato ed è più semplice individuare una impresa con grandi risorse finanziarie diciamo sospette.
Dove investe oggi Cosa nostra? In Sicilia?
I grandi flussi finanziari dei mafiosi vanno in altri territori. Spesso all’estero e in alcuni casi abbiamo anche le prove. Non so se ricorda quella intercettazione, che risale alla caduta del Muro di Berlino, in cui un mafioso dice a un altro di investire nella Germania dell’Est e non solo, in qualsiasi settore. Ecco quella intercettazione vale come esempio della capacità di Cosa nostra di cogliere i mutamenti. Lo stesso può avvenire con le attività dei Paesi off shore.
Torniamo agli Inzerillo. Questa caccia al tesoro della famiglia non c’è.
Noi lavoriamo sulle evidenze che possiamo provare. La caccia dovrebbe partire dal presupposto che il tesoro nascosto esista e che sia localizzabile. Un presupposto che a me sembra più giornalistico che investigativo. Sotto questo profilo, ma siamo ancora nel campo delle ipotesi, confidiamo che nella documentazione sequestrata dall’Fbi possa esserci qualche spunto che poi svilupperemo.
Tra le pieghe degli ultimi provvedimenti emergono strani flussi di denaro da New York alla Sicilia.
Sì, esatto. Ci sono carte di credito al portatore: invece di portare in Sicilia mazzette di contante portano le carte di credito che danno meno nell’occhio. Ma non si tratta di grandissimi flussi di denaro.
Dall’inchiesta emerge anche come gli Inzerillo avessero costituito una, come dire, agenzia di servizi per dirimere liti, trovare accordi e venivano cercati anche da tutti. C’è ancora voglia di mafia nella società palermitana?
C’è una certa permeabilità anche se non siamo ai livelli di 20 e 30 anni fa. Alcuni imprenditori si rivolgono a Cosa nostra per ottenere favori e poi magari si vanno a iscrivere in una qualche associazione antimafia. C’è una voglia di mafia, e non solo a Palermo, che è di natura utilitaristica.
Quali sono i settori economici più permeati dalla mafia.
Cosa nostra investe dove ci sono soldi: un tempo nei terreni, nell’edilizia oggi nell’energia e nei rifiuti. Negli ultimi anni anche in piccole cose: magari non si tratta di grandi affari ma permettono di incassare cifre utili per i bisogni delle varie famiglie.
E il rapporto con la politica?
È cambiato. Oggi conta di più per loro il rapporto con un funzionario piuttosto che con un politico.
Voi avete azzerato la ricostituzione della Cupola. Ma resta libero un boss importante come Matteo Messina Denaro. Che ruolo ha lui oggi?
Matteo Messina Denaro continua a svolgere un ruolo importante nella sua provincia. Certo ha anche rapporti e collegamenti con la mafia palermitana. Deve essere chiara una cosa: anche la cattura di Matteo Messina Denaro non comporterà la fine di Cosa nostra. Sarà un importantissimo arresto così come è avvenuto in passato per altri. Ma come abbiamo visto con gli arresti eccellenti Cosa nostra non è finita.