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 2019  luglio 18 Giovedì calendario

Intervista a Mara Navarria

A Wuxi, un anno fa, quello di Mara Navarria nell’individuale fu dei quattro ori mondiali azzurri il più bello e forse il meno atteso, tanto era stata lunga la strada che aveva portato fin lì la spadista friulana. Una storia che si è inceppata più volte, contrastata da molti fatti della vita, e ora splendidamente distesa verso un nuovo, possibile trionfo mondiale, a Budapest, nel tempio della scherma. Oggi, nel giorno del suo compleanno, l’oro della spada torna in palio.
Scende in pedana, Mara Navarria, per eguagliarsi: rivincere è come vincere o no?
«Rivincere è più bello, ma è come un esame universitario: quando non hai mai preso 30, non sai com’è. Io lo so, l’oro è bellissimo e ti cambia».
Wuxi 2018 come ha cambiato la sua vita?
«Mi ha dato occasioni anche di mondanità, sono intervenuta a eventi, sono stata testimonial di iniziative. Ma ho imparato anche a dividere i miei tempi: la scherma, essere mamma, essere moglie».
Scherma come famiglia: Andrea Lo Coco, suo marito, è il suo preparatore atletico.
«Scherma come metodo di vita, anche: sapersi prendere il proprio spazio. Gli assalti sono come degli spettacoli, per me, vado in scena, dietro la maschera».
Una sensazione di doppiezza: che distanza c’è tra le due Mara?
«Molte e nessuna, Mara che fa scherma sa diventare tutt’uno con la sua arma. L’altra Mara vive da mamma di Samuele, lo accompagna all’asilo, gli fa fare tantissime esperienze. Una delle ultime è stata dormire insieme in caserma alla Cecchignola, a Roma: l’ho chiesto al comandante del gruppo sportivo Esercito. È una richiesta rara e difficile, ma era davvero necessario».
Sulla sua spada c’è il suo hashtag, #mammaatleta. È come una dimensione, uno state of mind.
«Mi dà forza, è la continuazione di me stessa, è la parte di me stessa che entra in un tutto più grande, che è la vita. Dopo Samuele, che è nato nel 2013, ho attraversato fasi complesse, ma le mie vittorie più belle sono arrivate con lui e grazie a lui. Oggi che ho 34 anni, sono felice di averlo avuto, di non aver rinviato la gravidanza a dopo la carriera, come purtroppo spesso si fa. Purtroppo, perché non si può».
Siamo indietro.
«Ho studiato, per la laurea specialistica in scienze motorie, il periodo pre e postgravidanza e come le istituzioni, nei vari Paesi, mettono la donna in condizione di diventare mamma. Le differenze tra noi e il resto d’Europa sono spaventose. Da noi le garanzie sono scarsissime.
Nello sport, quasi inesistenti. E invece, per esempio, il centro federale francese di scherma ha un asilo nido al suo interno. Si deve lavorare. Dopo la carriera sportiva, comunque, vorrei mettere a disposizione la mia esperienza e le mie conoscenze su questi temi».
La sua carriera rischiò di arrestarsi dopo la mancata qualificazione a Rio 2016. Come andò?
«Ho passato un’estate di merda, l’anno dopo. Vicino a Milazzo mi sono rintanata per riprendere confidenza con me stessa, dieta e preparazione, 40 gradi all’ombra. Ho toccato il fondo. E ho scoperto l’apnea».
Il sistema di Alessandro Vergendo e Rosarita Gagliardi.
«Esattamente. Utilizzo l’acqua più dei pesi per fare forza, più vado giù in piscina, più l’acqua è un muro. Mi ancora alle sensazioni, alla gestione del corpo, e l’uso del diaframma dà il ritmo dell’esercizio, che è poi il ritmo dell’assalto in pedana. È come avere una musica dentro, è conoscersi a fondo, ascoltarsi i pensieri ma al tempo stesso non averne. Il sistema è sempre più utilizzato dagli sportivi di molte discipline. In più nel team è ormai diventata fondamentale la presenza di un mental coach e della match analysis. La scherma cambia velocemente e lo studio al video è diventato essenziale».
Si è trasferita a Rapallo, per allenarsi.
«Da Carlino, il mio paese, in Friuli.
Laguna di Marano, dove torno per decomprimermi, in attesa dell’evento. Si fa la pesca con la rete a bilancia, orate, branzini, e poi abbiamo un orto, e poco sopra la mia casa la strada entra nel bosco. Lì corro, cammino, l’ho fatto anche a poche settimane dal parto, quando i medici consigliano di stare assolutamente fermi e immobili. Ma io ferma non sono stata mai».
La scherma non è stata la sua prima scelta, del resto.
«Ho giocato a pallavolo e ho fatto kayak. Ma anche musica: pianoforte, solfeggio, chitarra. Mio fratello aveva iniziato con la sciabola. Ho provato, ma la spada mi ha scelto».
Qual è il suo colpo preferito?
«La stoccata al piede, che è come un tunnel nel calcio. Un po’ ti umilia, un po’ ti riempie di pensieri. È un colpo psicologico, l’avversario ci torna con la mente, diventi cacciatore. Nella scherma è la parte giusta della strada, è stare al centro del ring».
Cosa ha imparato dalla scherma?
«A essere malleabile, ad adattarmi alle cose imprevedibili della vita e a saperne uscire. In pedana conta l’attimo, non il prima, non il dopo».
Altre passioni?
«Mille, perché è importante saper fare on/off, buttarsi in altre attività come la lettura, la musica e la cucina. Mi piace fare il pane con farine di montagna. Ma vorrei imparare a fare la pasta ripiena. E vorrei conoscere lo chef Bruno Barbieri. Anche la cucina ha una disciplina, è un’arte, ha l’eleganza come punto d’arrivo».
Domanda scontata: le è piaciuto il Trono di Spade?
«Mi ha solo incuriosito, ma non ho la costanza per seguire una serie tv. So di gente che non riusciva a staccarsene. No, non fa per me».
L’oro a Budapest la terrebbe comunque sul trono, e poi?
«Metterebbe in discesa la qualificazione a Tokyo, l’Olimpiade della mia grande rivincita».