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 2019  luglio 18 Giovedì calendario

Le segrete passioni di Keynes

Quando il lettore si avvia verso la fine del quattordicesimo capitolo della Teoria Generale intitolato “La teoria classica del tasso d’interesse”, s’imbatte in una strana citazione: «L’anitra selvatica si è tuffata verso il fondo quanto più ha potuto, e si è afferrata con il becco alle alghe, alle erbacce e ai rifiuti che stanno laggiù…». Gli occhi vanno automaticamente a pie’ di pagina per cercare la nota e, naturalmente, la provenienza di quelle parole. Ma invano; così si torna rapidamente indietro nell’ipotesi che qualcosa sia sfuggito. Invece nella monumentale e geometrica opera di John Maynard Keynes, economista e mente straordinariamente raffinata, la citazione resta un enigma. Solo nell’ultima edizione italiana del capolavoro di Keynes, tradotta per i Meridiani Mondadori da Giorgio La Malfa e con apparato critico dello stesso La Malfa e di Giovanni Farese, un’inedita operazione di restauro, si tenta di svelare la sciarada del colto, e intrinsecamente snob, economista di Cambridge: la citazione è da Henrik Ibsen e dal suo dramma Anitra selvatica, del 1884. Keynes paragona malignamente gli economisti marginalisti, allora predominanti e suoi nemici, all’anatra della leggenda nordica che, una volta ferita, cerca il suicidio sui fondali.
C’è da chiedersi il perché di quella che non può essere classificata come una dimenticanza. Keynes conosceva bene il teatro di Ibsen che, a cavallo tra Ottocento e Novecento, aveva messo sotto accusa l’ipocrisia dei tempi e aperto la strada a una rivoluzione della morale borghese. La moglie di Maynard, la ballerina russa Lydia Lopokova, un paio di anni prima della pubblicazione della Teoria generale del 1936, aveva interpretato il ruolo di Nora proprio nel più famoso lavoro del drammaturgo norvegese, Casa di bambola, opera teatrale tutta in difesa della donna e accolta con scandalo alla sua uscita nel 1879.
A chi erano diretti i messaggi cifrati e le sciarade di cui Maynard infarcisce i 24 capitoli di un testo già di per sé complesso? Il mistero si infittisce, se si prosegue la lettura. L’altro rivoluzionario che compare, pur senza mai essere citato per nome e cognome, è il professore di Vienna che in quegli anni stava rivoltando la scienza della psiche. Qui l’assimilazione delle tesi di Sigmund Freud, che Keynes aveva citato in vari scritti precedenti, è profonda. Non solo perché la parola “psicologia” compare per ben 62 volte nella Teoria Generale, e perché le “tendenze psicologiche” sono determinanti nelle funzioni di consumo e investimento. Ma soprattutto perché Keynes introietta e ripropone senza segnalarli almeno quattro concetti di pura psicanalisi per spiegare i comportamenti economici. Il restauro del testo del Meridiano li porta alla luce: quando dice che gli animal spirits degli imprenditori scacciano l’idea della morte e aggiunge che «un uomo sano di mente mette da parte l’idea della morte»; quando utilizza il concetto di “sublimazione” per spiegare come il guadagno e l’arricchimento possono «incanalare verso sbocchi relativamente innocui» l’aggressività umana; oppure quando ricorre al concetto di “personalità anale” per spiegare la cupidigia umana dell’oro, tipica del sistema del gold standard negli Anni Trenta, rappresentata da Re Mida, e l’astensione dal consumo. Del resto nella sua deposizione di fronte al Comitato Macmillan nel 1930, Keynes non aveva esitato a ricorrere allo stesso concetto facendo sobbalzare sulla sedia i sapienti di stampo vittoriano. Se a questo si aggiunge l’idea della “psicologia di massa” che riprende il titolo del libro del 1921 del maestro viennese, la trama criptata è completa. Ma perché non citare Freud? Perché lasciare la comprensione completa del testo solo ai suoi amici del circolo di Bloomsbury, di cui alcuni erano stati in cura sul lettino del padre della psicanalisi? Oppure all’amico James Strachey, traduttore di Freud in inglese? Snobismo o il timore da parte di Keynes che, pur difendendo le sue libere scelte morali e sessuali, restava un uomo agganciato all’establishment e che dava consigli a Churchill e Roosevelt?
L’altro rivoluzionario della cultura del Novecento che emerge dall’opera di “restauro” è Albert Einstein. In questo caso la conoscenza di Keynes è personale oltre che profonda dei suoi testi. Il nome dello scienziato non appare nelle pagine della Teoria Generale ma un riferimento fulmineo paragona i suoi antagonisti del mainstream tra Otto e Novecento a «geometri euclidei in un mondo non euclideo» che rimproverano a tutti di non comportarsi secondo il proprio punto di vista. Come la fisica tradizionale con la teoria della relatività di Einstein.
Anche in questo caso, nonostante i riferimenti eloquenti e sostanziali (non orpelli letterari), Keynes evita le citazioni. Motivo? Forse il gusto irridente di essere una spanna sopra i suoi avversari mescolato al ricordo di qualche torto passato. Basti ricordare il duro giudizio di “fare letteratura” impartito al suo lavoro quando, in gioventù, gli fu rifiutata la fellowship al King’s College. Oppure i giudizi sprezzanti che il mainstream economico gli riservò all’uscita della Teoria generale : Pigou parlò di «scandalo», Schumpeter di «atteggiamento da società decadente». Il codice Keynes parlava a chi voleva capire: era arrivata una rivoluzione nell’economia che si accompagnava a quelle della morale, della fisica e della mente umana.