Corriere della Sera, 18 luglio 2019
La globalizzazione lotta per la sua vita
Stiamo davvero andando verso un mondo in cui le economie si rinchiudono ognuna nel proprio igloo nazionale? Verso la fine della globalizzazione? Nei momenti di cambiamento, le statistiche spesso confliggono. Due indicatori dicono che l’apertura della finanza e quella dei commerci sono decisamente in ritirata. La società di ricerca Oxford Economics ha calcolato che la quota sul Prodotto lordo mondiale degli investimenti esteri diretti – uno dei grandi misuratori della mondializzazione – ha raggiunto nel 2018 il minimo da 24 anni, al 2%. E che quest’anno potrebbe scendere all’1,9%. Il picco era stato nel 2006, sopra il 3,5%, e ancora nel 2013 si era al 3%. Per quel che riguarda invece gli scambi manifatturieri internazionali, la Wto (l’Organizzazione mondiale del Commercio) ha di recente registrato che, tra il maggio 2018 e il maggio 2019, i Paesi del G20 hanno adottato misure restrittive agli scambi (tariffe e ostacoli alla frontiera) per 816,8 miliardi di dollari: un salto straordinario rispetto a un trend precedente inferiore ai cento miliardi annui. La guerra commerciale tra gli Stati Uniti di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping sta avendo i suoi effetti diretti e fa pensare davvero a una ritirata della globalizzazione. Sul versante dei flussi degli investimenti diretti, però, la stessa Oxford Economics pensa che il declino sarà di breve durata, se le guerre commerciali non accelereranno. Soprattutto, nota che è in corso «una riconfigurazione permanente dei flussi globali degli investimenti esteri diretti, via dalla Cina verso altri mercati emergenti». Infatti, anche le catene di fornitura si riorientano. Nei primi quattro mesi del 2019, le esportazioni cinesi negli Stati Uniti sono diminuite del 13%, per effetto delle tariffe imposte da Trump, mentre quelle del Vietnam sono aumentate di quasi il 40%, quelle di Taiwan del 22%, quelle della Corea del Sud del 16%. La globalizzazione cambia connotati ma per ora non si spegne.