Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2019
Biografia di Enrico Filippini Biografia di Nani Filippini
A raccontare di Enrico “Nani” Filippini (1932-1988) mi viene naturale evocare la celebre esortazione di Arbasino del “viaggio a Chiasso” rivolta agli intellettuali nostrani nell’intento di sprovincializzare la cultura italiana: Nani compie il percorso inverso e quasi sicuramente ha già letto il Tractatus di Wittgenstein e i Manoscritti economici e filosofici di Marx quando varca la frontiera di Chiasso verso Milano, poco più che ventenne. Nani aveva già messo su famiglia e aveva pure insegnato, senza molto entusiasmo, in una scuola elementare di Ascona; intanto aveva imparato il tedesco immerso nella biblioteca del suocero filosofo. Nani ci ha raccontato che a Milano era venuto espressamente per studiare con Antonio Banfi, ma credo che non minore richiamo abbiano esercitato su di lui le ragazze e il buon vino. Certo, agli occhi di un giovane studioso attratto dalla filosofia, Banfi era anche il direttore di una collana, “Idee nuove” (Bompiani), che, in pieno fascismo e durante la guerra, aveva rotto l’embargo dell’idealismo crociano e gentiliano.
Banfi muore nel ’57 e Nani si laurea con Enzo Paci nel ’59. Anche Paci, come il suo maestro Banfi, aveva creato una scuola con i suoi scolari più brillanti. Una volta laureati, alcuni venivano indirizzati alla carriera accademica, altri all’editoria. Per citarne alcuni del primo gruppo, in ordine più o meno cronologico: Carlo Sini, Giovanni Piana, Andrea Bonomi, Salvatore Veca, Pier Aldo Rovatti, Stefano Zecchi; del secondo: Paolo Caruso, Evaldo Violo, Carlo Mainoldi.
E Nani, il prediletto? Intanto si sottrae alla prospettiva universitaria, che Paci gli aveva preconizzato facile e veloce con approdo in cattedra, causa carenza, sono sue parole, di libido docendi, per poi dichiarare al maestro, costernato, che il suo primo obiettivo ora è scrivere. La sua prima, libera professione è in realtà quella di traduttore, soprattutto per la Feltrinelli perché è il momento in cui Giangiacomo e Inge guardano con maggiore interesse alla letteratura germanica emergente tra Gruppo 47 e i romanzieri svizzeri come Friedrich Dürrenmatt e Max Frisch. Di molti di loro, tra cui Günther Grass, Uwe Johnson e lo stesso Frisch, oltre che traduttore, Nani diventa amico e apprezzato interlocutore. Più che naturale che un giorno gli arrivi dalla Feltrinelli l’offerta di entrare in redazione.
In quel momento la casa editrice navigava con il vento in poppa del Dottor Živago e del Gattopardo, che l’avevano, oltre tutto, affrancata dall’immagine di braccio editoriale del Pci. Fedele alla missione di mantenersi uno spazio per la sua creatività e lo studio, accetta di buon grado, ma chiede di lavorare mezza giornata. Gli riesce anche di conciliare il lavoro editoriale, che non ti abbandona mai, con un corso di dottorato a Parigi, dove integra il suo carnet di frequentazioni con Claude Lévi-Strauss, Roland Barthes e, ancora più intensamente, con Maurice Merleau-Ponty e Paul Ricoeur.
In campo filosofico, assieme a testi di Walter Benjamin e Ludwig Binswanger, la sua traduzione di maggiore impegno è la fondamentale Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl, che è anche l’occasione del nostro primo incontro, poiché ne avrei curato la pubblicazione in quanto fresco redattore del Saggiatore di Alberto Mondadori. Gliel’aveva commissionata Enzo Paci, approdato al Saggiatore dopo un breve passaggio alla Bompiani, dove era succeduto ad Antonio Banfi; posto subito occupato, in forma assai più stabile, da Umberto Eco.
Instancabile sul lavoro, lo era anche nella vita sociale e sentimentale, con un piglio di rampollo della lost generation e di anticipatore del libertario ’68. Alla guida della sua MG, che sembrava la fusoliera di un idrovolante, usava carburarsi di tanto in tanto con una fiaschetta di whisky, tra una gauloise e l’altra, ma allora non ci si faceva gran caso e quindi, probabilmente, nemmeno la coéquipière di turno. Un Leporello che volesse compilare il catalogo delle sue belle disporrebbe di un ventaglio meno dispersivo e qualunquista del collega mozartiano: qui, all’imprescindibile venustà si associavano l’intelligenza e l’eleganza; un valore aggiunto poteva essere il bilinguismo, come il suo.
Alla Feltrinelli il clima cambia quando Giangiacomo, già vicino a Fidel Castro e Che Guevara, sceglie la clandestinità. Nani, che pur aveva contribuito all’edizione delle opere del Che, sente il bisogno di cambiare aria e approda al Saggiatore con una collana che fin dal titolo, “Gutenberg & Company”, rispecchia il suo enciclopedico eclettismo; la grafica, strabiliante per innovazione, di Pierluigi Cerri, forse il più grande amico di Nani.
Ultima tappa del percorso editoriale librario di Nani Filippini è stata la Bompiani, dove trova il coetaneo Umberto Eco e il poeta Antonio Porta che, con il suo vero nome di Leo Paolazzi, ne è il direttore generale. Nel frattempo (’71) Valentino Bompiani aveva venduto la casa editrice a Carlo Caracciolo, che poi la cederà all’Ifi degli Agnelli: è uno degli inizi della gestione manageriale delle case editrici, che Nani, non proprio a suo agio, definirà di tipo burocratico. A mia volta, trasferito alla Mondadori, nel settore editoriale ragazzi e coedizioni, in una periferia rurale di Verona, con campo di tennis e piscina accanto, apprezzo la lontananza da Milano, teatro pulsante di lacerazioni politiche e sociali. Nel suo scontento Nani mi telefona una volta per propormi un posto di suo alter ego alla Bompiani, tipo: io alla cucina e lui al mercato, ma ho pensato che il tempo per un trasferimento alla Bompiani non era ancora maturo. Poi (’76) ho avuto io l’opportunità di ricambiarne l’attenzione quando Mario Formenton, allora presidente della Mondadori, sul punto di fondare Repubblica, in società con Caracciolo e Scalfari, mi chiese se avevo qualcuno da segnalare per la redazione della cultura. Ho subito pensato: nessuno meglio di lui, e so che per lui, a 44 anni, è stato l’inizio di una nuova vita.