la Repubblica, 17 luglio 2019
Molinari al Wimbledon del golf
Mare furioso e scogliere a picco. Nord Irlanda, contea di Antrim. Accanto al Royal Portrush Golf Club le rovine del Dunluce Castle, poco più distanti Ballintoy Harbour, le Cushendun Caves, Larrybane Quarry, location naturali del Trono di Spade. «Certo che la seguivo la serie tv, ma come faccio ad andare a visitare i set? Durante il torneo abbiamo tempi molto compressi ed è difficile ritagliarsi momenti di svago». E se di torneo si parla, Francesco Molinari affronterà da domani sulle spettinate erbe nordirlandesi il 148° Open Championship, noto anche come British Open, Wimbledon del golf che un anno fa lo consacrò campione. Protagonista del momento più alto del nostro golf – mai un italiano aveva vinto un Major – con quell’ultimo giro accanto a Tiger Woods e la Claret Jug, il trofeo leggenda, sollevata davanti al pubblico britannico.L’Open Championship, un anno dopo: che cosa prova?
«Questo torneo cambia la vita, soprattutto ad uno come me che ama stare al di sotto dei radar. Alla lunga si impara a conviverci. Dopo quel giorno ho vinto la Ryder Cup con il Team Europe, il circuito europeo della Race to Dubai. Quest’anno ho conquistato l’Arnold Palmer Invitational negli Usa. Sono state tutte esperienze che mi hanno dato maggiore consapevolezza, hanno rafforzato le mie ambizioni».
Al Royal Portrush si presenta da campione in carica, e da numero 7 del mondo. Eppure i bookmaker la quotano 25/1, non è il favorito.
«Sicuramente si gioca su un percorso diverso dal 2018, e questo può rimescolare le carte. Come in ogni major, saranno molti i giocatori a poter vincere. Ci sono tante variabili, dallo stato di forma fino al meteo».
Che fa, mette le mani avanti?
«Eh no, so che i risultati hanno aumentato le aspettative nei miei confronti, ma è un tipo di pressione che riesco a tramutare in energia positiva».
Chi la sta aiutando?
«Il mio team, che mi supporta sotto tutti i punti di vista, anche quello mentale. Ma anche la famiglia, mia moglie Valentina, i miei figli Tommaso ed Emma. È bello averli a bordo campo, ma anche sentirli quando sono distanti mi aiuta a trovare l’equilibrio mentale».
Al Masters ha giocato un golf superbo fino alla buca 15, che ha scatenato paragoni con Palmer, Ballesteros, Watson e Woods. Poi, il finale drammatico, con la pallina in acqua. Se lo sogna la notte?
«Capita di ripensarci, però, come le vittorie ti lasciano insegnamenti, anche le prestazioni meno convincenti ti aiutano a migliorare.
Con il mio staff abbiamo analizzato il round finale di Augusta e faremo tesoro di quegli errori».
Ha parlato con Tiger Woods dopo quel giorno?
«Gli ho fatto i complimenti alla fine.
Lasciamo da parte il mio risultato: chi, tra quelli che amano il golf, non è felice di vedere vincere di nuovo Tiger? L’avete sentito il boato del pubblico per tutte le 18 buche?».
Ha raccontato di avere addosso un tatuaggio di tigre.
«Sì, è un simbolo cinese che rappresenta la tigre, ma risale a quando avevo compiuto 18 anni, avevo una gran voglia di ribellarmi e ho pensato: “Ora che posso far quel che mi pare, mi farò un tatuaggio"».
Tiger già vinceva allora...
«Ma no, mi sono fatto mostrare un catalogo, non sono nemmeno sicuro che il tatuaggio significhi tigre…Mai pensato di rimuoverlo però, e quanto a Tiger, sono cresciuto ammirandolo».
È vero che da piccolo spaccava bastoni e che suo padre le levava il golf per tre settimane?
«È successo giocando con mio fratello Edoardo. Strano a dirsi, ma una volta ero io la testa calda».
Sente di aver cambiato la percezione verso il golf?
«C’è più interesse e attenzione mediatica. Aver ricevuto il Collare d’Oro del Coni è stato la conferma che il golf occupa un posto di primo piano».
Come va la sua attività di “promoter” dell’Open d’Italia che si giocherà a Roma a ottobre?
«Ci saranno Thorbjorn Olesen e Justin Rose, abbiamo ricreato parte del Team Europe vincente a Parigi.
Da quando l’Italia si è aggiudicata la Ryder Cup, in ogni Open sento un’adrenalina maggiore nell’aria, la federazione sta facendo molto per diffondere i nostri valori».