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 2019  luglio 17 Mercoledì calendario

Biografia di Richard Branson

Richard Branson (Richard Charles Nicholas B.), nato a Londra il 18 luglio 1950 (69 anni). Imprenditore. Cofondatore (con Nik Powell) del Virgin Group. Secondo l’ultima classifica ufficiale della rivista Forbes (aggiornata al 4 marzo 2019), detentore di un patrimonio netto pari a 4,1 miliardi di dollari, che ne fa la 478a persona più ricca del mondo. «Per fare pubblicità al gruppo uso me stesso. Costa meno e mi diverto di più» • Primo di tre figli (unico maschio), «cresce nel Surrey, in una classica famiglia middle-class, con tutti i comfort del caso. Il padre è avvocato, la madre ha fatto la ballerina e poi la hostess sugli aerei» (Romano Giachetti). «Era un bambino alle prese con la dislessia che rimediava pessimi voti a scuola. Un ragazzino della classe media, cresciuto negli sterminati sobborghi di Londra, poco studioso e un po’ birbante. Nello sport, però, se la cavava bene: era il capitano della squadra di calcio, di rugby e di cricket della sua scuola. E aveva anche, in questo era precoce, lo sbuzzo per gli affari» (Enrico Franceschini). «Ho scoperto presto di essere dislessico. Ma forse fu proprio questa la molla per intraprendere la carriera imprenditoriale. L’istinto mi diceva che non avrei mai superato gli esami per accedere a una professione tradizionale, tanto meno a quella di avvocato come mio padre e mio nonno. L’idea di crearmi un’attività in proprio che non richiedesse una solida formazione accademica sembrava l’opzione migliore». «Quale è stato il suo primo business? “Abeti”. Abeti? “Alberi di Natale. Avevo nove anni. Comprai un po’ di piantine sperando di rivenderle l’anno successivo”. Come andò a finire? “Dei conigli si mangiarono le piante”. Una débâcle. “Sì. Ma poi io catturai i conigli e li vendetti a un macellaio vicino a casa. Qualcosa ci guadagnai comunque”» (Vittorio Zincone). Poco dopo, «assieme al mio migliore amico, mettemmo in piedi un piccolo allevamento di pappagallini. Avevamo visto che all’epoca erano molto popolari tra i bambini, e iniziammo a venderli a scuola». «“Nonostante avessi seri problemi di ortografia, coltivavo in segreto l’ambizione a diventare giornalista”. Sembrerebbe un’impresa impossibile, invece, a sedici anni, Branson vince un concorso di scrittura organizzato dalla sua scuola, lo Stowe College. “È stata la dimostrazione che sapevo scrivere e che avrei potuto farlo anche in modo professionale. Ma difficilmente i giornali avrebbero assunto un dislessico. Decisi così di fondarne uno mio, Student, un magazine per gli allievi della scuola e la comunità dove sorgeva l’istituto. Volevo trattare temi scottanti come la guerra in Vietnam, il razzismo, la salute sessuale. Ho sempre avuto un forte senso di responsabilità sociale e l’impulso a non accettare l’inaccettabile”. Era un progetto audace per un ragazzo delle scuole superiori senza capitale, né una sede né una macchina da scrivere. “Dal telefono a pagamento nel salone della scuola – era quello il mio ufficio – mi misi a vendere pubblicità per pagare la stampa della rivista. Presi accordi con lo stampatore per saldare i debiti appena ricevuti gli incassi. Stilai persino un rudimentale business plan, che conservo ancora”» (Raúl Álvarez). «A sedici anni dove trovò i soldi per stampare e distribuire migliaia di copie? “Usai qualche trucco”. Racconti. “Mia madre mi aveva prestato 4 sterline”. Un po’ poco. “Erano sufficienti solo per i primi 320 francobolli per le spedizioni. Subito dopo scoprii il modo per chiamare gratis da una cabina telefonica con l’operatore. Da lì cominciai a raccogliere sponsor. Chiamavo quelli della Lloyds Bank e gli dicevo che avevo appena venduto lo spazio della terza di copertina alla Barclays e che era rimasto quello sulla quarta, ma si dovevano sbrigare perché anche un’altra banca era interessata”. E funzionava? “Incredibilmente sì”. Ma era un bluff. “Affinai la tecnica. E riuscii a sfruttare anche la concorrenza tra Pepsi e Coca-Cola. Non avevano idea che a chiamarli fosse un ragazzo rintanato in una cabina telefonica con una manciata di monetine in mano. In breve tempo, Student diventò un fenomeno. Intervistammo Mick Jagger, Sartre… allora non c’erano gli staff e gli uffici stampa a fare da barriera”» (Zincone). «Non fu facile, ma alla fine Student decollò. Fu il mio primo successo come imprenditore». «È in quel periodo che, stando alla leggenda, il preside dello Stowe College profetizza ai genitori di Richard: “Questo ragazzo o finisce in galera o diventa un milionario”» (Álvarez). Nel frattempo, infatti, Branson aveva abbandonato la scuola, a sedici anni, per dedicarsi a tempo pieno ai suoi primi affari. «Quando cominciò ad occuparsi di musica? “Sull’ultimo numero di Student comparve la pubblicità della nuova avventura che avevo pensato: la vendita di dischi per posta”. È a quel punto che nacque il marchio Virgin? “Sì. Parlando con degli amici qualcuno disse: ‘In questo campo siete come vergini’. E così…”» (Zincone). «Creai la Virgin Mail Order Record Company, vendita di dischi per corrispondenza. Ma lo sciopero delle poste del 1971 mi portò sull’orlo della bancarotta: così affittai un piccolo negozio in Oxford Street, ci portai i dischi rimasti e li vendetti a basso prezzo. Un successone…». «Ricorda il primo disco che ha venduto? “Credo si trattasse di un album pirata dei Deep Purple. Nel nostro negozio c’erano cuscini per terra, si sentiva un intenso odore di marijuana, i clienti venivano serviti da commessi competenti (avevano tutti i capelli lunghi) e l’ambiente era in netto contrasto con l’atmosfera noiosa che si respirava da WHSmith e Menzies, le due catene che dominavano il mercato discografico. Il giorno dell’apertura, fuori dal negozio si formò una coda che proseguiva per tutta Oxford Street, per arrivare fino a Tottenham Court Road. In quel momento capimmo di aver creato qualcosa che sembrava piacere alla gente”» (Chris Catchpole). Nel 1972, insieme al socio Nik Powell, già al suo fianco nell’apertura di quel primo negozio, fondò l’etichetta discografica Virgin Records. «Il miracolo avviene nel 1973. Branson offre il suo aiuto a un amico, Mike Oldfield, per incidere un disco solo strumentale: Tubular Bells, “campane tubolari”. Il disco ha un successo strepitoso: dall’Inghilterra si espande a tutti i mercati internazionali. Resta nelle classifiche per mesi e mesi. Tubular Bells, creato, prodotto, distribuito artigianalmente diventa un caso musicale. E, naturalmente, un affare strepitoso. Branson, come tutti i self-made man, crea il suo primo miliardo, su cui basa la sua fortuna. È in questo momento che i giornali britannici iniziano a chiamarlo il "capitalista hippy". Vive su una houseboat, porta i capelli lunghi e il suo abbigliamento non prevede le tradizionali grisaglie e i gessati degli uomini d’affari. Pragmatico, creativo, decisamente portato all’imprenditoria (intesa come invenzione, e produzione e non come placida gestione del presente), Branson dimostra velocemente di preferire la legge del profitto piuttosto che predicare la filosofia hippy di "pace, amore e musica". La formula del suo successo è offrire prodotti a un pubblico giovane, presentati con un’immagine progressista, non convenzionale, provocatoria. In pratica, Branson scopre un nuovo mercato, che potenzialmente già esiste e ha bisogno solo di essere sollecitato, per i suoi prodotti. […] Nel 1978 Branson inaugura la formula dei Megastore Virgin, grandi magazzini specializzati per tutto il mondo della musica. A quel punto nel carnet discografico di Branson ci sono già nomi come Phil Collins, Boy George e i Sex Pistols» (Giachetti). «È vero che lo staff della Virgin festeggiava l’uscita di ogni raccolta andando a ubriacarsi sull’autobus di Londra con il numero corrispondente? Per esempio, quando fu pubblicata la raccolta numero 9, tutto il personale salì sul bus numero 9… “Naturalmente. Non sono però sicuro che esista un bus numero 100”. Negli anni ’80 lei ha pubblicato un singolo con il belato di una pecora dal titolo The Singing Sheep (la pecora che canta, ndt). Che cosa le è passato per la mente in quel momento? “Ah, sì: è stato qualcosa di orribile. Mia zia, che aveva una fattoria con pecore nel Norfolk, un giorno mi telefonò dicendo che sembrava che le sue bestiole sapessero cantare la filastrocca Baa baa pecora nera: allora inviai a casa sua uno studio mobile da 24 tracce per registrarle. Questo mi fece perdere un po’ la faccia con personaggi del calibro dei Sex Pistols, però fu divertente. Il lato B si intitolava Flock Around the Clock [laddove il “rock” del titolo originario è sostituito da “flock”, cioè “gregge” – ndr]”» (Catchpole). «Nel ’92 cede la sua creatura alla Emi per 550 milioni di sterline. E con quel capitale inizia a diversificare il proprio business. Il cambio di rotta avviene con l’ingresso nel business degli aerei di linea. […] “Avevo 27 anni e una bellissima ragazza mi stava aspettando nelle Isole Vergini. Io mi trovavo a Portorico. La compagnia aerea con cui viaggiavo cancellò all’improvviso il volo. Erano le 18. Lei mi aspettava per cena. Non avrei mancato quell’appuntamento per nessuna ragione al mondo. Decisi così di affittare un aereo. Poi, visto che molti passeggeri erano rimasti a terra, scrissi per scherzo su una lavagna ‘Virgin Airlines: 25 dollari per arrivare alle Isole Vergini’. I passeggeri del volo cancellato si precipitarono, e io li caricai a bordo. Allora ho capito che potevo lanciarmi in quel business. Dopotutto, volare mi è sempre piaciuto. Qualche tempo dopo, chiesi alla Boeing se ne avesse uno di seconda mano da vendermi. Acquistato il primo aereo, dovevo lanciarlo sul mercato dei voli, ma fino ad allora mi ero occupato solo di musica. Dovevo ripensare la pubblicità. Non potendo contare sui budget messi in conto dalle grandi compagnie, ho pensato di usare me stesso come brand. Per far conoscere il marchio Virgin Airlines abbiamo attraversato il Pacifico in mongolfiera. E alla fine ci siamo fatti notare”. […] “Quando decisi di comprare un Boeing 747, avevo un’azienda discografica di successo. Fu una mossa rischiosa. Molti dipendenti erano scontenti di questa scelta. Temevano la bancarotta. Dovevo rassicurarli. Così feci una proposta alla Boeing: se il business in cui mi sto avventurando non dovesse funzionare, restituisco l’aereo dopo 12 mesi. In caso contrario, ne acquisterò un altro. Lo scrissi nel contratto. Il successo fu tale che finimmo per comprare altri due Boeing”» (Álvarez). Era nata così, nel 1984, la sua prima compagnia aerea, Virgin Atlantic, «sull’intuizione che le rotte fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti avrebbero conosciuto una formidabile espansione dei traffici, anche grazie alla deregulation. Su quel primo marchio se ne innestarono molti altri. La Virgin Express fu una delle prime low cost, con sede operativa a Bruxelles, poi fusa nella Brussels Airlines. Dalla Virgin America alla Virgin Nigeria, volare con Branson è diventata un’esperienza comune a molti continenti. Se si eccettuano altre diversificazioni poco fortunate, come la Virgin Cola e l’omonima vodka, è sempre nel gestire la nuova mobilità globale che Branson ha dispiegato le sue nuove iniziative. La privatizzazione delle ferrovie inglesi gli ha consentito una puntata terrestre nel 1993, con Virgin Trains. Nel 2004 ha lanciato la filiale per il turismo spaziale: Virgin Galactic, coinvolta nella tecnologia di Spaceship One insieme al cofondatore di Microsoft Paul Allen. Questo programma spaziale è stato al centro di una tragedia nell’ottobre scorso [2014 – ndr]: la morte in volo di uno dei piloti dello Spaceship Two, avvenuta sopra il deserto californiano. Sempre al mondo dei trasporti e della mobilità guarda l’altra filiale recente di Branson, Virgin Fuels, nata dopo una colazione con il premio Nobel ambientalista ed ex vicepresidente Usa Al Gore: un’impresa che investirà nei carburanti del futuro […] per ridurre le emissioni carboniche» (Federico Rampini). Oltre a continuare a guidare il suo impero in continua espansione (dalle radio alle telecomunicazioni, dai centri benessere agli alberghi, fino a ogni possibile esperienza di viaggio: in aereo come in treno o in nave da crociera, verso lo spazio suborbitale come verso i fondali sottomarini), Branson sostiene infatti che «oggi il mio principale impegno è sul no profit, attraverso Virgin Unite. Ho spiegato ai miei azionisti che il nostro non sarebbe stato uno dei tanti enti no profit, ma parte integrante della filosofia e del core business dell’intero gruppo. Loro hanno condiviso e sposato questa filosofia. Il capitalismo cieco sta distruggendo molte risorse. Di questo passo, il mondo andrà incontro a guerre devastanti per accaparrarsi beni primari come il cibo, l’acqua e i combustibili. I nostri giovani vogliono ereditare la Terra, non un deserto. Un altro mio impegno è nel ridurre la povertà e ridistribuire la ricchezza che ho avuto la fortuna di ottenere. Ma non intendo seguire il vecchio sistema della filantropia aziendale da “assegno d’oro”, capace solo di elargire donazioni. Cerco piuttosto di aiutare la gente ad aiutare se stessa per crearsi nuove prospettive. I poveri e i meno privilegiati non hanno bisogno di carità, ma di alternative» (Álvarez) • Meno nobili, almeno secondo la stampa britannica, le ragioni per cui dal 2013 Branson risiede a Necker, isola di sua proprietà appartenente – non a caso – all’arcipelago delle Isole Vergini (Virgin Islands, appunto), «un paradiso fiscale. […] Il Sunday Times lo ha pizzicato con un titolo in apertura di giornale che è al passo col personaggio: addio Gran Bretagna, sono un esiliato per motivi fiscali. E sotto ha messo pure un bel fotone che lo ritrae con la bandiera in mano, pantaloni e giacca della Union Jack, immagine di un sorridente e vero patriota. Poi, il colpo di grazia. Ma come? Non era proprio Richard Branson che qualche tempo fa dichiarò il suo disgusto verso quei facoltosi signori che reclamano meno tasse? Già. Richiesto da giornali e televisioni di un commento sulla revisione delle aliquote più alte, rispose secco: “Farebbe assai male il nostro cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, a intraprendere questa strada”. Chi ha redditi e patrimoni elevati paghi il dovuto. E per Richard Branson furono applausi scroscianti. Qualcosa, però, deve essere cambiato, nella sua testa e nelle sue convinzioni. “È la salute che costringe al trasferimento”, ribatte ufficialmente. Ma, forse, il morso del fisco si è fatto più dolente. […] Richard Branson non ha violato la legge. Non ha evaso. Non ha eluso. Ha versato ciò che c’era da versare. Lui e le sue 200 società che hanno in portafoglio attività finanziarie, turistiche, immobiliari sono in perfetta regola. Ma probabilmente il peso dei tributi è divenuto troppo pesante. Quindi: addio Gran Bretagna» (Fabio Cavalera) • Dalla seconda e attuale consorte ha avuto tre figli, la prima dei quali morì però quattro giorni dopo la nascita, nel 1979. «La famiglia e gli amici sono le uniche cose che contano nella vita. Ho perso tutti i miei beni personali tre volte, e non mi è mai interessato gran che. Questo ho cercato di insegnare ai miei figli: non è importante ciò che hai, ma fare quel che ti piace in modo responsabile» • «Non c’è poi tanto spazio per veri amici nella vita. Ci vogliono sia tempo sia le occasioni giuste per conquistarli. Io vado in vacanza regolarmente con le stesse persone da anni, e non le abbandonerei mai nel momento del bisogno» • Grande passione per lo sport. «Dato che vivo a Necker, nei Caraibi, la mia isola, ho la possibilità di fare tutti gli sport acquatici. Credo che stare in forma, fare qualcosa che ti diverta, ti permetta di lavorare meglio, di avere più energie quando ti servono. Merito delle endorfine: di sicuro guadagni almeno due, tre ore di lavoro in più rispetto a quando ti senti debole e stanco. Tutte le mattine mi sveglio alle 5.30 e gioco a tennis» • «È un tipo cui piace divertirsi, o per lo meno dare l’impressione di divertirsi moltissimo: e forse è per questo che si può presentare vestito per esempio da zulù, oppure da pirata, o da uomo ragno, o da cowboy, o da Babbo Natale, o addirittura da sposa. […] Il più mediatico degli imprenditori britannici è un fanatico assertore dell’autospot: è la pubblicità vivente di se stesso, delle sue imprese, e soprattutto del suo marchio Virgin. […] Autospot, dicevamo: è lui che, vestito da pilota, si fa fotografare sul volo Virgin Londra-Boston mentre bacia le sue hostess Virgin in bikini Virgin, ed è lui che, quando può, si diverte a servire i drinks Virgin ai passeggeri di prima classe Virgin. È lui che nel ’91, inaugurando il suo megastore musicale a Milano, in piazza Duomo, scala il palazzo con due rocciatori e poi saluta e si alza in volo a bordo della sua mongolfiera Virgin parcheggiata nella piazza. È lui che compare nei cartelloni e negli spot. […] E anche le sue sfide […] sono sfide autopromozionali, e portano miliardi di pubblicità gratuita» (Laura Laurenzi). «Ecco Branson che attraversa il Pacifico, dal Giappone al Canada, in mongolfiera, Branson che fa bungee jumping impeccabile in smoking buttandosi da un grattacielo di Las Vegas appeso a un gancio (e squarcia i pantaloni in diretta), Branson in sottomarino, Branson che fa windsurf con una modella nuda aggrappata alla schiena a mo’ di zaino, Branson con i guantoni da boxe, Branson vestito da giocatore di football americano con cheerleader a fianco, Branson con le ali da angelo, Branson in tuta spaziale, Branson-007 in acqua al volante di un’auto anfibia, Branson con le braccia coperte di tatuaggi finti, Branson camuffato da gigantesca lattina di cola, Branson in costume da orso, Branson con una tigre di pezza, Branson con una tigre vera, Branson a gravità zero in uno spot, Branson al Carnevale di Rio, Branson-Lawrence d’Arabia, Branson serissimo in giacca cravatta e mutande, Branson che, ridendo felice, usa gli orinatoi a forma di bocca spalancata della toilette maschile di una lounge della sua linea aerea. […] Branson, nel 2010, da proprietario della Virgin Racing di Formula 1 aveva perso una scommessa con Tony Fernandes, patron della Lotus: la posta – i due sono amici – era bizzarra come da personaggio: “Chi perde farà la hostess su un volo della compagnia del vincente” (Branson possiede le linee aeree Virgin, il malaysiano Fernandes la Air Asia). […] Branson, la cui scuderia era finita dietro la Lotus, ha pagato pegno sul volo Perth-Kuala Lumpur. Vestito da donna, ha subito rovesciato un vassoio di succhi di frutta in grembo all’amico Tony, che non aveva pantaloni di ricambio e ha passato gran parte del volo in mutande (all’arrivo, ridendo, lo ha licenziato in tronco). […] Pagliacciate o strategia da promoter? Lui, di solito, ai critici delle sue bravate risponde così: “Cosa volete, incontro difficoltà a dire di no…”» (Matteo Persivale). «A 65 anni ha ancora trovato le forze per una traversata della Manica in kitesurf e una scalata del Monte Bianco, ma intervistato dall’Independent ha promesso che “non sfiderà più la morte cercando di fare il giro del mondo in mongolfiera”» (Rampini). «Spesso mi chiedono per quale motivo io intraprenda le grandi sfide dei record mondiali di motonautica o di volo in pallone. Mi fanno notare che sono un uomo ricco, di successo e che ho una famiglia felice, per cui dovrei smetterla, di rischiare la vita, e godermi quel che la fortuna mi ha regalato. Amo la vita, amo la mia famiglia, sono terrorizzato all’idea di morire e di lasciare Joan da sola con Holly e Sam senza un padre. Al contempo, però, mi sento irresistibilmente attratto dal desiderio di provare nuove avventure e di mettermi alla prova per scoprire i miei limiti». «Ho preso rischi e mi sono divertito. Un principio da applicare anche agli affari» • «Denti bianchissimi e forse rifatti per un sorriso che sembra mite, capelli un po’ lunghi e barbetta, Branson baffo di paglia, come lo chiamano, viene definito "il capitalista hippy" non soltanto per la sua aria da figlio dei fiori di mezza età, o perché si dice favorevole alla legalizzazione della marijuana, o perché ammette di aver fatto uso di cocaina, o perché difende gli omosessuali. […] Hippy o addirittura New Age in quanto fautore e seguace di un modo "non violento" di fare l’imprenditore, secondo un’organizzazione dove sembrano non esistere gerarchie né stato maggiore, dove il grande capo – astuto e mellifuo Creso che non ostenta – si fa chiamare da tutti per nome e pratica assiduamente l’understatement. […] Innovation, quality, fun sono le tre parole d’ordine di questo "bambino viziato del thatcherismo"» (Laurenzi). «Una politica molto "liberal" in fatto di congedi parentali, sabbatici e vacanze per i suoi dipendenti: fino a un anno lontano dal lavoro per chi ha avuto un figlio biologico o adottivo (padri e madri), ma anche un ricorso esteso e flessibile alle vacanze per ricaricarsi» (Rampini). «Le politiche del personale della Virgin Group sono improntate alla flessibilità. […] Diamo fiducia alle persone, le trattiamo da adulti responsabili. E, se ancora non lo sono, con queste opportunità che gli offriamo possono diventarlo» • «“Io credo molto nella delega, forse perché, avendo lasciato la scuola da giovane, ho imparato che delegare è una necessità e un’arte. Mi circondo sempre di persone capaci e migliori di me. Ciò mi permette di limitare i miei impegni alla supervisione delle mie aziende, senza dovermene occupare direttamente. Mi piace imparare dagli altri. Ho immaginato l’attività imprenditoriale come un lungo ‘corso universitario’. Che mi ha permesso di conseguire la laurea sul campo”. E, difatti, nel ’93 Branson riceve la laurea honoris causa in Ingegneria dalla Loughborough University. Sei anni dopo è nominato baronetto dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra» (Álvarez) • «Sempre sorridente, ma mai disposto a farsi mettere sotto i piedi da quell’establishment che oggi lo applaude ma che prima lo ostacolò e poi fu costretto dal suo successo ad accettarlo. Ne sa qualcosa la British Airways, accusata da Virgin Air di concorrenza sleale: per non finire in tribunale, decise di pagare un risarcimento di quasi 4 miliardi, che Branson distribuì a tutti i dipendenti» (Lucio Salvini) • «Richard Branson è l’emblema del capitalista del ventunesimo secolo: l’imprenditore che ama il rischio ma ha il cuore buono, il businessmen altruista ma spericolato, l’uomo che nella sua scuderia vorrebbe avere tutto» (Franceschini) • «Un’impresa deve tenere conto dei rischi, ma tutelarsi e cogliere anche gli indicatori di opportunità nei settori su cui scommettere. La mia filosofia è stata sempre questa: se un settore non è ben gestito, io ci entro e cerco di modificarlo focalizzandomi sui punti di debolezza degli altri e ampliando i punti di forza. In Inghilterra, ad esempio, le banche non hanno buona reputazione; così […] ho acquisito una banca e l’ho ribattezzata Virgin Money. È andata bene» • «Le è mai capitato di toppare qualche business? “Mi è successo di farmene sfuggire alcuni ottimi”. Un esempio? “Beh… Mi proposero di partecipare alla Ryanair. Mi proposero il Trivial Pursuit. Di errori, se ne fanno”. L’errore più grande che ha fatto? “Mi sono lasciato sfuggire i Dire Straits”. Come è successo? “Li stavo per scritturare. La sera prima della firma, andammo a festeggiare in un ristorante greco. Dopo la cena ci portarono un piattino con sopra una bella canna. Mark Knopfler e gli altri pensarono che li volessimo drogare”. È il caso di dire: un affare andato in fumo. “La cena più cara della mia vita”» (Zincone).