Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2019
Deutsche, 74 miliardi di asset in vendita
FRANCOFORTE
Il suo nome di battesimo è così nuovo, “C.R.U” (capital release unit) che il mercato ha fatto presto a ribattezzarla “bad bank”: anche se Deutsche bank assicura che non è un Spv off-balance sheet, non è un veicolo fuoribilancio per svendere Npl in perdita o disfarsi attivi cedendoli a un prezzo sotto il valore di libro. Questa nuova unità o sezione del bilancio di DB è piuttosto una sala d’attesa on-balance sheet dove verranno parcheggiate le attività soprattutto performing (Level1, Level2 e Level3) “non strategiche” in via di cessione o di smantellamento, ponderate per il rischio per un controvalore di 74 miliardi e pari a 288 miliardi di esposizione leverage.
La CRU dunque vuole essere all’opposto di una tipica bad bank che assorbe capitale o richiede nuovo capitale per coprire un buco: nasce come una “good bank” che entro il 2022 libererà 5 miliardi di capitale. Per ora è una promessa sulla carta. Per essere credibile deve passare ai fatti alla svelta, ed entro 18 mesi deve riuscire a disfarsi di metà degli asset, a buon prezzo. E questo è cruciale: il successo del piano di ristrutturazione annunciato lo scorso 7 luglio dal ceo Christian Sewing, che mira a un RoTE dell’8%, un leverage ratio del 5% e al recupero di credibilità oltre alla redditività, passa per il successo di questa unit.
La chiave di lettura della CRU sta nel suo obiettivo strategico: vendere, smantellare, chiudere prodotti, attivi ed aree di business che rendono poco o nulla e che assorbono troppo capitale per il ritorno che stanno generando. Dunque, la CRU è prima di tutto un’unità dove confluisce il business “equity” dal quale DB ha deciso di uscire: il primo passo sarà la vendita delle azioni cash che sono liquide ma assorbono molto capitale per il trading sul secondario e l’uscita dal brokeraggio; chiuse anche altre attività che assorbono molto capitale nell’equity come per esempio i prestiti a 3-6 mesi accordati agli hedge fund per consentire loro di tenere in piedi posizioni sull’azionario; saranno inoltre ceduti o portati a scadenza i derivati equity, che hanno una scadenza massima di due anni ma una vita media di 6 mesi. La cessione di posizioni in derivati, chiamata “novation”, mirerà al miglior prezzo, e la liquidità del mercato, il denaro/lettera, saranno fondamentali. Il cuore della CRU è infatti l’equity: non tanto per gli 11 miliardi sui 74 dei RWA ma per i 170 sui 288 della leverage exposure, che servono ad arrivare al target di un leverage ratio salito al 5% nel 2022.
Un altro bacino di asset ceduti o smantellati con la CRU è legato all’attività fixed income: 15 miliardi sui 74 del RWA e 79 miliardi sui 288 della leverage exposure. L’attività sul mercato secondario e posizioni sui tassi d’interesse verranno ridimensionate, e venduti derivati in questo caso con vita media di 5 anni. Deutsche bank non uscirà dal mercato dei titoli di stato: se la CRU venderà titoli di Stato lo farà principalmente per disfarsi del collaterale legato a posizioni in chiusura. Ma il trading sui mercati dei titoli di Stato europei, per quanto non redditizio come una volta dopo la compressione dei rendimenti, dovrebbe rimanere un’attività strategica.
La CRU non è stata ideata per cedere o smantellare derivati a lunga durata finanziaria, come alcuni sul mercato si aspettavano. E questo perchè la ristrutturazione di DB non ha come obiettivo la riduzione ulteriore dei rischi del portafoglio in derivati che sono già scesi (a fine 2018 ammontavano a 380 miliardi di valore lordo IFRS e a un rischio pari a 21 miliardi dopo il netting delle posizioni e tenuto conto del collaterale). Nè la CRU è stata fatta per sbarazzarsi dei Level3, che per DB sono attivi illiquidi o per i quali è difficile trovare prezzo di mercato ma che non per questo sono automaticamente molto rischiosi o non performing: DB aveva in bilancio 88 miliardi di Level3 nel 2008(pari al 4,3% dei total assets) che ora sono scesi a 25 miliardi (pari all’1,9%) grazie a una vera bad bank (nel 2012-2016 una Non-Core-Unit ha ceduto Level3 per 33 miliardi).
La strada della CRU resta tuttavia in salita. Il rischio di implementazione è elevato, per la tempistica che è stretta e per il fatto che gli attivi ponderati per i rischi al 50% circa sono legati al rischio operativo e dunque con esecuzioni legata alla supervisione. Ieri S&P’s ha confermato il rating “BBB+” con outlook stabile di Deutsche bank, alla luce del piano di ristrutturazione: «Il numero chiave della CRU è la riduzione della leverage exposure che riflette principalmente l’uscita dal brokeraggio e porta a un miglioramento permanente del basso leverage ratio di DB – ha detto a Il Sole 24 Ore Giles Edwards, senior director per le istituzioni finanziarie di S&P -. In quanto al rischio operativo, gli attivi ponderati per i rischi sono più difficili da rimuovere perchè sono soggetti all’approvazione dei supervisori. DB sta uscendo dal trading e sales dell’equity ma non sta uscendo completamente da altre aree di business correlate, quindi una porzione del capitale non sarà liberata». Per Giles «è giusto dire che la CRU non è una bad bank, il suo obiettivo non è vendere bad assets, ma realizzare un obiettivo strategico, ovvero l’uscita da aree di business con profittabilità bassa o nulla».