il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2019
Biografia di Astutillo Malgioglio
A 21 anni aveva indossato le maglie di tutte le Nazionali giovanili, compresa quella dell’Under 21 di Azeglio Vicini; e a 19 anni aveva già fatto il suo esordio in Serie A nel Bologna di Cesarino Cervellati che spedendolo in campo, all’Olimpico, al posto di Franco Mancini in un Roma-Bologna 1-0, non sentì il bisogno di dirgli nulla: lui non sapeva nemmeno cosa significasse emozionarsi. Era fatto così Astutillo Malgioglio, piacentino di nascita e cremonese per crescita (calcistica): a 19 anni poteva trovarsi al cospetto di mostri sacri come Liedholm e Bruno Conti, De Sisti e Di Bartolomei, ma il desiderio a fine partita era uno solo: correre a casa per godersi a famiglia riunita i racconti, di guerra e di vita, di nonna Ines. Quelle sì erano emozioni, per Astutillo detto Tito, molto più che rivedersi in tv, a 90° Minuto, uscire a valanga sui piedi di Kawasaki Rocca.
Malgioglio è un bravissimo portiere. A 19 anni il Brescia lo acquista dal Bologna e lui gioca come fosse Cudicini. Titolare fisso, contribuisce alla promozione in Serie A dove Tito fa percorso netto: 30 partite su 30, a 22 anni sembra molto, molto più grande della sua età. Ma grande lo è davvero, Astutillo: e nemmeno lui sa ancora quanto (e perché). Tito è fidanzato con Raffaella e un giorno, a Brescia, decidono di visitare un centro per ragazzi disabili: ne escono turbati. “Mi impressionò la loro emarginazione, lo stato di abbandono ma soprattutto il menefreghismo della gente. Per me fu un pugno nello stomaco. Così parlai con Raffaella e decidemmo che non saremmo rimasti con le mani in mano. Ci mettemmo a studiare, acquistammo i macchinari e aprimmo a Piacenza un centro per la riabilitazione motoria dei bambini cerebrolesi”.
Astutillo Malgioglio comincia la sua seconda vita: quella del calciatore che nel tempo libero smette la divisa e veste i panni dell’educatore di bambini disabili. Del tutto gratuitamente, s’intende. Bello? Macché. A Brescia è arrivato un nuovo allenatore, Marino Perani, ala destra del Bologna scudetto 63-64. A Perani, che Malgioglio perda tempo per aiutare bambini disabili non sta bene: quindi fuori Malgioglio e dentro il vecchio Pellizzaro.
La stagione del Brescia finisce con la retrocessione; e Malgioglio capisce che nulla, per lui, sarà più come prima. Anche se al momento non pare: perché Liedholm, che lo vide esordire ragazzino proprio contro la sua Roma, è in cerca di un valido secondo di Tancredi e chiede al presidente Dino Viola di acquistarlo. È l’estate del 1983, la Roma ha appena vinto lo scudetto e sta andando incontro alla stagione della Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool. Malgioglio gioca poco ma è contento: Liedhlom gli ha messo a disposizione il centro di Trigoria per continuare il suo lavoro sui bambini disabili e Di Bartolomei, il capitano, non manca mai d’invitarlo alle visite ai bambini malati del Bambin Gesù.
Ma lo Sliding Doors che non t’aspetti è dietro l’angolo: e ha il volto di Gigi Simoni, a quel tempo allenatore della Lazio, che per tornare in Serie A vuole a tutti i costi Malgioglio tra i pali. Tito ha 27 anni, alla Roma è riserva da due stagioni, Liedholm se n’è andato (lo ha sostituito Eriksson) e decide di accettare. Firma per la Lazio. Ed è l’inferno. “Sporco romanista, sei il primo della lista”, si sente dire. E ancora: “Se stai sempre con gli handicappati, quanno ce pensi ar pallone?”. Anche Raffaella ed Elena, la loro bambina, sono vittime di continue aggressioni. E poi succede: si gioca Lazio-Vicenza, Malgioglio non è in giornata, la Lazio perde 3-4 e Tito, che per tutta la partita è stato insultato, legge quello striscione, “Torna dai tuoi mostri”, e si disconnette: toglie la maglia, ci sputa sopra, la getta ai tifosi. Fine delle trasmissioni.
Anzi, no. Perché mentre la Lazio ne chiede la radiazione, Tito (che intanto è tornato a Piacenza a fare l’educatore a tempo pieno) riceve una telefonata: è Trapattoni. Che sta iniziando la sua avventura all’Inter ma è in cerca di un secondo per Zenga e ha pensato a lui, al portiere più diseredato del momento. “Vorrei che venissi perché il calcio ha bisogno di persone come te”, sono le parole che Tito si sente dire.
Così Malgioglio va all’Inter, dall’86 al ’91, i cinque anni targati Trap che semplicemente aveva aggiunto: “Potrai fare il calciatore e l’educatore”. Con gli ingaggi e i premi dell’Inter, il centro per i bambini disabili prende ulteriore impulso. “Credo sia stato Dio a mettere quell’uomo sulla mia strada: e in quel momento, poi!”, dice oggi Malgioglio. Che ricorda: “Durante i ritiri, la sera, Trapattoni aveva l’abitudine di fare il giro delle stanze per dire una parola a ciascuno di noi. A volte entrava nella mia, si fermava sulla porta e si metteva a piangere. Non diceva niente, ma in realtà mi parlava. Era un uomo che viveva per il calcio e per il lavoro ma che sapeva che nella vita c’è molto altro. E se io ero lì, davanti a lui, era perchè ero un buon portiere, certo, ma anche perché aveva visto in me l’uomo”.
Nell’estate del ’91 Trapattoni se ne andò dall’Inter. “Mi si fece davanti – ricorda Tito – e mi guardò con lo sguardo di chi sa che l’avventura è finita: per lui e per me. Tolse di tasca un biglietto, scritto a mano, e me lo porse. Sapevo perfettamente le parole che avrei letto. E sì, il biglietto scritto a mano dal Trap è il più bel ricordo che mi è rimasto del calcio”.