Avvenire, 16 luglio 2019
Cinque secoli di storia dei volti
Domani sarà la Giornata mondiale delle emoji e in concomitanza con la celebrazione delle faccine il Museo Nazionale del Cinema di Torino inaugurerà la mostra “#FacceEmozioni. 1500-2020: dalla fisiognomica agli emoji”, curata da Donata Pesenti Campagnoni e Simone Arcagni. La mostra sarà visitabile fino al 6 gennaio e consiste in una grande esposizione che, partendo dalla collezione del Museo del Cinema, racconta gli ultimi cinque secoli di storia dei volti, tra arte, scienza, tecnologia e comunicazione.
La mostra prende le mosse da riferimenti le cui origini partono da Aristotele e arrivano ai giorni nostri, cercando nei tratti del volto, ma anche nella sintesi grafica di emoji ed emoticon, i riscontri caratteriali ed emozionali delle persone, passando dal cinema, al teatro, fino alla tecnica delmorphing e agli attuali software di face recognition.Le emozioni, che disvelano anche alcune delle teorie di Gregory Bateson, emergendo dalle interazioni con l’altro e l’ambiente, raggiungono infatti nel viso una delle loro più piene e reali espressioni. L’esposizione è frutto di alcune collaborazioni che coinvolgono la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, con una personale di Paolo Cirio che indaga le strutture di potere che caratterizzano la nostra epoca attraverso social e big data, e l’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, con una selezione di fotografie esposte per la prima volta: “I 1000 volti di Lombroso”; le fotografie in mostra dialogheranno con una serie di disegni, strumenti, oggetti, documenti e libri del Museo Lombroso, a ulteriore testimonianza del metodo lombrosiano.
«Che cosa ci fa una collezione dedicata alla storia della fisiognomica in un patrimonio raccolto allo scopo di documentare la memoria del cinema? La mostra – ha detto la curatrice Donata Pesenti Campagnoni – nasce da questa domanda e connette discipline diverse tra loro, dialogando tra secoli, in un mondo che va al di là dell’archeologia del cinema più comune, perché qui mostra un collegamento con le arti figurative, le maschere e i tipi cinematografici, e si può constatare come le emoji, nell’estrema sintesi di un volto rappresentato con dei puntini e una parentesi, di fatto abbiano un’incredibile linea di continuità con alcuni schemi pittorici dal Seicento in avanti».
Il percorso espositivo racconta per cui un mondo di saperi legato a volti ed emozioni, che sono la base su cui vengono costruite molte nuove tecnologie, dalla computer grafica dei videogiochi, ai software di riconoscimento facciale, fino alla guida autonoma e la face recognition per sbloccare gli smartphone, gli avatar, ovvero gli alter-ego digitali, ilface tracking che traccia il volto e ne riporta digitalmente i tratti, e tutto il mondo della sorveglianza, che pesca dalla fisiognomica, mettendone in campo elementi utili a sviluppare e perfezionare l’intelligenza artificiale.
Tra gli ospiti presenti all’open day della mostra che si è tenuto ieri, anche Jeremy Burge, creatore degli emoji day e fondatore nel 2013 di Emojipedia, un’enciclopedia on line che riporta i significati e gli usi comuni di tutti gli emoji: «La Giornata mondiale delle emoji è stata creata cinque anni fa perché pensavo ci volesse una data precisa nell’arco dell’anno per festeggiare qualcosa che utilizziamo ogni giorno. È importante celebrare, ma altrettanto interessante vedere come si sia sviluppata l’evoluzione di un percorso che interagisce tra più arti». A conclusione del suo intervento, Jeremy Burge ha anche annunciato l’emoji dell’anno 2019, individuata sulla base di utilizzo, popolarità e innovazione; a vincere è un’emoji introdotta soltanto l’anno scorso, ovvero la faccina che sorride con i tre cuoricini.
Il percorso, con 180 opere esposte, di cui 82 riproduzioni fotografiche, 55 opere originali, 43 tavole tratte dalla collezione di fisiognomica del museo, 42 montaggi, 4 app e 8 installazioni, coinvolge arte, scienza, tecnologia e comunicazione, connettendo i cataloghi di Giovan Battista Della Porta e Johann Caspar Lavater con lo studio dei volti del primo pittore del Re Sole, Charles Le Brun, ai vetri per lanterna magica e agli emoji, ai manuali per l’attore, di teatro prima – con il filone psicologico e realistico che guarda alle forme del verosimile – e cinema poi (anche e soprattutto di animazione), passando da opere di artisti contemporanei che esplorano volto ed emozioni.
“Exposed”, la personale di Paolo Cirio alla Sandretto, visitabile fino al 29 settembre, e a cura di Irene Calderoni, tratta il tema da un punto di vista artistico sì, maanche con un impatto sociale e politico, come spiega la stessa curatrice: «La mostra tratta flussi informativi e big data oggetto di manipolazione, oltre che parlare di come gli individui siamo vittime ma al tempo stesso anche responsabili e vulnerabili di queste dinamiche di sorveglianza e controllo». La mostra include tre cicli di lavori dedicati al tema del volto, spazio simbolico in cui si gioca la dinamica conflittuale tra privato e pubblico, individuale e generale, libertà e sorveglianza. Dinamiche già al centro di altri lavori dell’artista in Face to Facebook (2011), lavoro partito come intervento hacker e trasformatosi in una performance mediatica, del progetto Obscurity (2016), che mette in primo piano la connessione, la reputazione degli individui e il controllo dell’informazione, e di Overexposed (2015), dove sono in mostra alcuni personaggi dell’attuale sistema di sorveglianza di massa.
«Il cinema – la conclusione di Sergio Toffetti, presidente del Museo Nazionale del Cinema – è forse la forma di espressione che con maggiore determinazione e costanza, si pone la questione della rappresentazione frontale e non mediata del volto dell’uomo e della donna», fino a sviluppare quel futuro già presente che il co-curatore della mostra Simone Arcagni spiega così: «Il tema è quanto queste tradizioni, queste forme, queste pratiche, questo enorme database di conoscenze e tecniche divenendo data informatizzati stanno realizzando un progetto neofisiognomico e quanto ne siamo avvertiti di modo da poterlo affrontare, discutere e negoziare», in un dialogo tra futuro e tradizione, tra arti diverse e in continuità tra loro.