il Giornale, 16 luglio 2019
L’estate di Giuni Russo
Nell’estate delle prime volte non poteva che esserci un tormentone imprevedibile. Oggi siamo abituati alla serialità del tormentone, con autentici creatori che anno dopo anno immancabilmente lo sfornano (Thegiornalisti, Takagi&Ketra, Boomdabash, Rovazzi, vari latinoamericani). Ma nel 1982 nessuno davvero avrebbe previsto che Un’estate al mare sarebbe diventato il brano simbolo di un anno decisivo. Dopotutto Giuni Russo era una cantante che aveva tutt’altri obiettivi e caratteristiche più vicine al jazz e alla sperimentazione. E oltretutto il testo di Un’estate al mare era nettamente diverso da quelli che di solito ci fanno cantare in vacanza, non aveva versi accattivanti o sensuali che poi diventano di uso comune. Per capirci, parla di una prostituta che sogna di andare al mare e di mettere in pausa per un po’ la sua vita difficile («Nelle sere quando c’era freddo si bruciavano le gomme di automobili...») lasciando «le strade mercenarie del sesso». Non a caso nel testo si riconosce subito lo stile di Franco Battiato che firma il brano con Giusto Pio. Chi altri avrebbe potuto inserire in un brano versi come «per regalo voglio un harmonizer con quel trucco che mi sdoppia la voce» oppure «Senti questa pelle com’è profumata, mi ricorda l’olio di Tahiti». È il suo tocco surreale e inimitabile che in quei mesi era strepitosamente in cima alla classifica anche con La voce del padrone, in sostanza uno dei tesori della nostra canzone d’autore (Cuccurucucù, Centro di gravità permanente, tanto per citare due brani).
In radio e nei negozi l’accoppiata tra le parole di Battiato e la voce strepitosa di Giuni Russo faceva la differenza perché gli altri singoli dell’estate italiana erano piuttosto volatili e talvolta convenzionali, salvo Non sono una signora di Loredana Bertè, che vinse il Festivalbar, e Una domenica bestiale di Fabio Concato, che è diventata un classico. Però Un’estate al mare aveva qualcosa di più, e non era soltanto l’estensione prodigiosa di questa siciliana sfortunata (è morta nel 2004 a 53 anni) che arriva a cinque ottave. Di certo è forse l’unico tormentone con una voce così virtuosa da essere in grado di imitare lo stridìo del gabbiano (ascoltatela nella parte finale). In poche parole, Un’estate al mare entra nella top ten ad agosto e ci rimane fino al 20 novembre, un successo clamoroso. Era il brano giusto per segnare la svolta, per marcare con uno stile anti convenzionale l’anno delle prime volte. Una prima volta la ricordiamo tutti, quella che fu scandita dal «campioni» pronunciato tre volte di seguito da Nando Martellini al Santiago Bernabeu di Madrid quando l’arbitro Coelho alzò la palla al cielo e fischiò la fine di Italia Germania ai Mondiali spagnoli. Pablito es l’hombre del partido. Chiunque fosse davanti alla tv ricorda a memoria la formazione: Zoff Gentile Cabrini... Mai nella nostra storia una vittoria aveva risvegliato così tanto l’entusiasmo dell’intera nazione, segnando davvero il passaggio simbolico tra gli schifosi «anni di piombo» e gli scintillanti anni Ottanta degli yuppies, dei paninari, della Milano da bere e di tutto il resto. C’era voglia, ecco. Voglia di rinascere. E gli «ombrelloni oni oni» (che fa rima con campioni) avevano anche la struttura musicale giusta per essere diversi dal resto. Una chitarra new wave, un incedere sincopato, un’interprete fuori dal coro. Nell’anno della morte dell’attore John Belushi (5 marzo), del fuoriclasse della chitarra Randy Rhoads (in un incidente aereo nel tour con Ozzy Osbourne in Florida) e di Gilles Villeneuve, da noi il vento era di cambiamento, quello vero, talvolta sanguinoso. I Nocs liberano a Padova il generale americano Dozier arrestando cinque brigatisti e spegnendo il mito dell’infallibilità delle Br e, a giugno, Roberto Calvi viene trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. A settembre la mafia uccide a Palermo il generale Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, spostando l’attenzione dal terrorismo alla criminalità organizzata, nonostante molti punti di contatto (non per nulla viene subito introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso).
Però il 1982 è ancora vivo adesso, anche dopo 37 anni. Ad aprile era nato in Germania Ovest il primo bambino in provetta. E a luglio per la prima volta si decise di adottare l’acronimo Aids invece di Grid, che oggi sarebbe intollerabile perché significa «gay related immune deficiency» visto che non ci sono correlazioni tra omosessualità e malattia. Infine a Mosca muore il segretario generale del Partito Comunista Leonid Breznev, praticamente il primo passo per la caduta del Muro di Berlino. Perciò l’estate dei campioni mundial e degli ombrelloni oni oni è destinata a rimanere cruciale nel racconto dei nostri tempi. Probabilmente Giuni Russo non se lo sarebbe aspettato, lei che voleva trovare nuova musica, essere al di fuori del conformismo, non farsi incasellare in una categoria predefinita come quella degli eroi pop da primato in classifica. Un’estate al mare fu una svolta anche per lei, che si allontanò con ancora più forza (e con molte rinunce) dal cosiddetto mainstream. Però, una volta che viene pubblicato, un brano diventa di tutti. Se poi si trasforma in un successo, sarà per sempre «di proprietà» degli ascoltatori, a prescindere da tutte le questioni o dagli obiettivi dell’interprete. Ancora l’altro giorno, in un sondaggio fatto da radio Rtl 102.5, qualcuno citava come tormentone «della vita» proprio Un’estate al mare, senza neanche ricordare il nome di chi la cantava. È la forza dei grandi classici che si spersonalizzano, entrano nella memoria collettiva e accendono ricordi, segnalano il trascorrere del tempo, lo legano ai momenti più belli, più brutti, più e basta. E allora, nonostante una storia di strepitoso livello, Giuni Russo è la voce che ha legato la nostra canzone pop all’Italia che stava cambiando, in mezzo a entusiasmi irripetibili e a ferite non ancora cicatrizzate. Pochi giorni dopo che Un’estate al mare era scivolata fuori dalla classifica, uscì Thriller di Michael Jackson, il disco più venduto di sempre. L’11 dicembre si sciolsero per sempre gli Abba e finirono anche gli anni Settanta più barocchi. Stava iniziando il futuro e a tutti stava tornando simbolicamente la voglia di «fare il bagno il bagno al largo per vedere da lontano gli ombrelloni oni oni».