«Quaranta chili di protesi in silicone con zip. E tutti a toccarti la pancia, ho capito bene cosa sentiva mia moglie Elsa (Pataky, ndr) durante la gravidanza». A un certo punto del film era previsto che Thor tornasse magro ma Hemsworth ha insistito per continuare fino alla fine (e oltre).
Il suo Fat Thor ha conquistato i social anche grazie a un video in cui canta accompagnato dalla chitarra. Già con Ragnarok il tono delle avventure era lontano dalla tragedia scespiriana impostata da Kenneth Branagh nel primo film, complice l’alchimia comica con Tessa Thompson (Valchiria). E infatti la coppia di attori è la cosa migliore di Men in Black: International, commedia di taglia spaziale che apre il Festival di Giffoni il 19, in sala il 25 luglio. All’incontro al londinese Corinthia Hotel, Hemsworth, 35 anni, sorride ma ha l’aria stanca: «Sono in pieno jet lag.
Siamo volati ieri dall’Australia, dove vivo, a Bali e poi da Bali a Londra».
La prima volta che ha conosciuto l’universo di "Men in Black"?
«Avevo quattordici anni, fui folgorato dalla combinazione di fantascienza, thriller poliziesco e commedia. E poi c’è l’idea degli alieni che vivono tra noi senza che ce ne accorgiamo. Una cosa molto cool, con un Will Smith fantastico. Non mi è parso vero di entrare in questo mondo».
Crede nell’esistenza degli alieni?
«Sì. L’universo è troppo vasto e sconosciuto per poter pretendere di essere i soli. Poi mi piace comunque fantasticare che esistano».
Non più solo uomini, ma anche donne in nero. Riflesso dei tempi che sono cambiati a Hollywood con il movimento Time’s up.
«Ed è importante entrare nel dibattito, essere in sintonia con le idee del movimento che ha messo sul tavolo un grande senso di uguaglianza. Non posso pensare a qualcuno più perfetto di Tessa Thompson per incarnare tutto questo. È una delle voci più forti del movimento, intelligente, ironica, affascinante, ha un gran cuore e un gran talento. Merita di stare al centro della scena, prima donna in black».
L’incontro con Thor ha cambiato la sua vita.
«La mia gavetta è stata lunga, l’incontro con Thor è stata la mia salvezza: quando Branagh, dopo sette provini, mi affidò il ruolo ero disoccupato da otto mesi. Sul set pensavo che tutto sarebbe stato naturale, invece è stato difficilissimo. Se rivedo i primi film sto ancora male. Dal terzo però Thor è diventato una mia seconda pelle e allora ho cercato di portarlo dalla mia parte. Mi ha dato un posto a Hollywood».
Lei e i suoi fratelli attori, Luke e Liam, avete un vissuto particolare, quasi selvaggio.
«Siamo cresciuti nel bush australiano, a contatto con gli aborigeni, arrampicandogli sugli alberi e combattendo con spade di legno. Anche perché la tv non era ammessa, potevamo guardare solo videocassette. Questo ci ha aiutato ad avere un grande serbatoio di immaginazione, ma non siamo animali sociali».
L’impatto con Hollywood è stato duro.
«Per troppo tempo ho fatto ciò che pensavo che la gente si aspettasse da me. Cercavo di adeguarmi a un modello. Guardavo il modo in cui gli attori agiscono. Poi mi sono stancato, sentivo che non c’era verità, stavo negando una parte di me. Negli anni recenti ho iniziato a lasciarmi andare, a divertirmi in ciò che faccio».
Alla fine di "Endgame" il suo grosso Thor dice: finalmente voglio vivere secondo ciò che sono.
«A un certo punto ho capito che dovevo liberarmi, nelle scelte, dai vincoli dell’essere una star. La cosa migliore che ti dà il successo è la libertà di scegliere i progetti. E non importa se a volte finisco nel progetto sbagliato, quel che conta è che sono dove voglio stare, a fare una cosa in cui credo».
Con i fratelli Russo il rapporto continua dopo "Avengers".
Producono "Down under cover" in cui lei sarà un agente infiltrato in un gruppo di danzatori erotici...
«È una commedia che farò con la mia compagnia di produzione. Due ufficiali di polizia sotto copertura si uniscono a un gruppo di danzatori australiani sospettati di aver rapinato alcuni casinò».
Come se la cava col ballo?
«Non benissimo, ma vale anche per il mio personaggio. È una prospettiva divertente, non vedo l’ora di entrare in pista».