la Repubblica, 16 luglio 2019
La rete nera dei mercenari filorussi
I mercenari neri che partono per il battesimo di fuoco nelle trincee filorusse del Donbass. L’afa densa di pioggia e zanzare su un capannone nella provincia pavese. In mezzo, tra bandiere con la svastica e targhe delle SS, decine di pistole e fucili da assalto. E un missile. Un missile aria-aria (chiamato anche AAM, dall’inglese: Air to Air Missile). Pronto per essere messo alla “boa”, si direbbe se fosse una barca. Un razzo capace di disintegrare un aereo in pochi secondi. La notizia è che questo bestione di 800 chili scoperto dall’Antiterrorismo in un hangar vicino all’aeroporto di Rivanazzano Terme, non era in mano alle milizie di Assad: nemmeno era un giocattolo di Kim Jong. Il missile era nella disponibilità di un gruppo di nazifascisti. Italiani. Una rete di personaggi i cui profili, come fiumi carsici, riemergono nel cuore di un’indagine che parte da Torino e schiude il suo raggio tra Lombardia, Liguria e Toscana. La procura di Torino, nel silenzio distratto dei partiti al governo, sta portando a galla i lati più oscuri, i più inquietanti, del nuovo estremismo nero. Gruppi fascisti e nazisti che – scoprono i magistrati –, non sono solo saluti romani, le rivolte anti rom nelle periferie, i pestaggi degli immigrati, le curve ultrà mussoliniane, i lugubri rituali con cui si celebrano i morti per intimidire i vivi. C’è un livello sommerso. Uno strato che brulica nella pancia del corpo del Paese, coperto dagli slogan nazionalisti. C’è, per esempio, un ex ispettore delle dogane già finito nei guai per truffa, Fabio Del Bergiolo, 60 anni, candidato al Senato per Forza Nuova: era il 2001, lavorava ancora ai varchi-merce di Malpensa. Del Bergiolo è il proprietario-custode del missile. Lo voleva vendere per mezzo milione, ma senza certificati, a un funzionario governativo straniero. Se quel missile l’avessero sequestrato a un clan di Cosa nostra o della ‘ndrangheta: che cosa avremmo pensato? Quale ragionamento si sarebbe generato negli apparati di sicurezza dello Stato? Racconta un investigatore: «Alcuni gruppi neofascisti e neonazisti dispongono di armi. Trafficano in questo settore e attirano militanti facendo leva anche sulla partecipazione attiva a conflitti all’estero». Il fronte del Donbass, dunque. Per i militanti dell’estrema destra andare a combattere a fianco dei separatisti filorussi nella regione che si è proclamata indipendente dall’Ucraina è diventata una sorta di iniziazione. Ultrà. Addetti alla sicurezza. Ex pugili. Picchiatori. Un mini esercito di foreign fighters palestrati al soldo dei gruppi paramilitari legati al Cremlino. Vanno e vengono dall’Ucraina. Il tribunale di Genova ne ha appena condannati tre: sono le prime sentenze. Un 35enne napoletano, Antonio Cataldo, il 39enne albanese Olsi Krutani, trapiantato da tempo a Milano, e un moldavo, Vladimir Verbitchii, 26 anni, di Parma. Mercenari al servizio di Mosca. Dello stesso gruppo fanno parte alcune primule nere: l’ultrà della Lucchese Andrea Palmeri; Gabriele Carugati, detto “Arcangelo”, ex security manager di un centro commerciale lombardo e figlio di Silvana Marin, già dirigente della Lega a Cairate in provincia di Varese; e “Spartaco”, alias Massimiliano Cavalleri, camerata di Brescia. «Quando torno in Italia ammazzo qualche politico». È una delle frasi intercettate dai carabinieri del Ros. Chi recluta i mercenari neofascisti? Che cosa fanno, davvero, quando rientrano dal Donbass? «Li teniamo sotto controllo», dicono all’Antiterrorismo. I guerriglieri al servizio di Putin. Le forze dell’ordine li hanno individuati partendo da due giovani vicini a FN, CasaPound e gruppi skinhead autori di scritte naziste a La Spezia. A 300 km da lì, nei covi di gruppi neri di Torino e Ivrea – ancora FN, Legio Subalpina, Rebel Firms -, sono spuntati gli arsenali con le armi da guerra. Dettagli: Legio inaugura la sede con Mario Borghezio, vecchio amico del “nazista” Savoini, il pontiere di Moscopoli. Russia, Ucraina, svastiche. Le armi e il denaro.