Corriere della Sera, 16 luglio 2019
Tiziano Ferro racconta il suo matrimonio
Fino a pochi anni fa nessuno conosceva la mia storia.
Solo le chiese, il mio inconscio, i miei quaderni; qualche cuscino, la mia mente e le sue stanze. Solo io, a guardarmi ogni mattina allo specchio, senza apprezzarmi.
Per poi ricominciare.
Finché ho conosciuto l’amore.
Mi ricordo quando, appena ventenne, sfogliavo libri in cui si parlava di omosessualità. Avevo il terrore di ritrovarmi nelle storie raccontate esplicitamente, quando timoroso andavo a cercare quei volumi stipati in un settore piccolissimo nelle librerie del centro di Latina. Guarda caso il settore era sempre «Psicologia», guarda caso ero sempre l’unico.
E mentre tutti si affollavano davanti ai tavoli con l’ultimo romanzo di Stephen King o di Paulo Coelho, io stavo là, sceglievo insofferente e impaurito tra i titoli che mi ispiravano di più. Cercando una strada, un suggerimento, la salvezza, o forse solo cose che conoscevo già ma che – viste nero su bianco – forse mi sarebbero sembrate più semplici, meno aliene e alienanti, possibili e comunque appartenenti alla vita di tanti altri esseri umani, oltre che alla mia.
Ero «uno su tremila» in quelle librerie, e mentre leggevo i risvolti di copertina mi sembrava che tutti gli altri guardassero solo me.
Ero «uno su tremila», e non ho mai voluto essere uno su tremila, ma – dopotutto – chi a vent’anni non vuole essere una star? Qualunque tipo di star, su qualunque tipo di copertina, di qualunque epoca o nazione. Famoso, figlio di una realtà diversa, solo tua, migliore.
Per quanto l’Italia sia un Paese laico, i crocifissi sono appesi ovunque: nelle case, nelle aule dei tribunali e delle scuole, negli ospedali.
«Io sono cattolico!» ho sentito dire a tanta gente indignata di fronte alle manifestazioni a sostegno dei diritti degli omosessuali.
Il problema è che in questo Paese non crediamo abbastanza in Dio.
Preghiamo, ma non ascoltiamo. Aspettiamo il miracolo e negoziamo l’arrivo di una soluzione, in cambio di qualche rinuncia.
Anch’io sono cattolico. Ma il messaggio che porto nel cuore è quello dell’amore universale, della carità, del soccorso reciproco, del rispetto per tutti, della compassione.
Né ragione, né torto; questa è semplicemente la mia esperienza, la mia storia.
È vero che l’uomo ha cercato Dio per dare un senso ulteriore alla propria esistenza. Io cerco in Lui uno sguardo di conforto, e non mi piace vederlo come il simulacro delle risposte che non so darmi, come uno scudo di fronte a quello che non capisco, o che mi fa paura.
Lo dico da cittadino, da figlio, da cantautore su un palco. Ma anche da fratello e da amico.
Mettiamo al centro l’essere umano: le donne, gli uomini, i bambini, gli esseri umani tutti.
E la famiglia in ogni sua accezione, purché al centro ci siano sempre amore e protezione.
Sì, in questi ultimi anni la disparità di diritti mi ha fatto sentire deluso, amareggiato, arrabbiato.
Ma io sono cattolico. Quindi, ho ancora fede.
I miracoli?
Io il mio lo immaginavo sullo sfondo del Monte Circeo, la mia terra, il mio mare.
E poi l’amore, solo amore.
Il mio è un Dio che ama, che custodisce, che non chiede pegno.
È un Dio simpatico.
Un miracolo è tutte le volte che una cosa riesce meglio di come te l’aspettavi.
Un miracolo è tutte le volte che la vita è più bella di come l’avevi immaginata.
E qualche giorno fa, davanti al mio mare, di fronte al mio monte, il mio uomo e io ci siamo sposati.
La cosa è molto più grande di Victor e di me.
Riguarda tutti.
Riguarda ogni ragazzino nascosto in mezzo agli scaffali di una libreria, con quel libro in mano. Uno su tremila.
E riguarda ogni italiano libero, onesto, e innamorato come me di quel Dio simpatico.