Corriere della Sera, 16 luglio 2019
Inghilterra campione mondiale di cricket dopo 44 anni
Il tormento e l’estasi. Il panico e il giubilo nei tinelli della nazione. Ieri l’Inghilterra celebrava un traguardo agognato per anni: e non perché avessero finalmente portato a compimento la Brexit. Ma perché per la prima volta la nazionale, domenica sera, aveva trionfato ai Mondiali di cricket: e non in posto qualsiasi, ma allo stadio dei Lord’s di Londra, il tempio di quello sport bizzarro cui solo gli inglesi (e le loro ex colonie) riescono ad appassionarsi.
«La più grande partita della storia», titolavano ieri i giornali, che hanno dedicato pagine e pagine speciali all’evento, accompagnate da gigantografie ed editoriali. «Ci siamo mangiati le unghie, ci siamo nascosti dietro il divano, ma non abbiamo mai dubitato», proclamava la tempestiva pubblicità di una banca.
«It’s just not cricket», «non è affatto cricket», dicono gli inglesi per definire qualcosa di scorretto, che non sta alle regole. Perché quello sport complicato – sono 25 anni che la mia amata consorte britannica prova inutilmente a spiegarmelo – riassume l’essenza del carattere nazionale. Fair play, flemma, attese: una partita di cricket può durare una giornata intera, durante la quale la cosa più eccitante che si verifica è la pausa per il tè.
Ma «chi ha detto che il cricket è noioso?», smentiva ieri il titolo di prima del Telegraph: perché la finale di domenica contro la Nuova Zelanda ha sovvertito tutte le tradizioni. L’Inghilterra è stata protagonista di una rimonta entusiasmante e ha portato a casa il risultato solo ai supplementari dei supplementari, dopo oltre otto ore di gioco: una cosa mai vista prima.
Una maniera molto inglese di vincere, hanno osservato i commentatori. Perché era arrivata ai supplementari anche la vittoria ai Mondiali di calcio del 1966 (pure quelli in Inghilterra, allo stadio di Wembley), trionfo cui quello di questa domenica è stato paragonato. E la stessa cosa era avvenuta ai Mondiali di rugby a Sidney nel 2003. Sofferenza e stoicismo, il sigillo di una nazione.
Perdere a cricket era ormai il vero passatempo nazionale: soprattutto contro gli ex sudditi, indiani e pachistani, diventati maestri nello sport imposto dai colonizzatori. E dunque la vittoria di ieri ha in qualche modo restaurato le gerarchie storiche e mentali.
Era da un po’ che l’Inghilterra andava a caccia di un successo sportivo: e lo aveva sfiorato due volte. L’anno scorso la nazionale maschile di calcio aveva trascinato gli animi, ma il suo sogno si era infranto in semifinale. E la stessa cosa è accaduta qualche giorno fa anche alle calciatrici donne, che pure hanno suscitato un travolgente entusiasmo collettivo.
C’è dunque dell’ironia e del simbolismo nel fatto che il trionfo finale abbia il sapore e il colore del cricket. Nella scena conclusiva di Another Country, il film degli anni 80 con Rupert Everett che rievoca la vita di Guy Burgess, la spia di Cambridge al soldo dei sovietici, la giornalista del Times va a Mosca a intervistare l’anziano ex agente, in esilio in Russia da decenni, e gli chiede se gli manchi qualcosa dell’Inghilterra. Lo sguardo del vecchio aristocratico si perde in lontananza e la sua voce sussurra: «Il cricket».