Corriere della Sera, 15 luglio 2019
Storia dell’inno di Mameli
Ferito il 3 giugno 1849 nell’epica battaglia di Villa Corsini, sul Gianicolo, che oppose i volontari romani al preponderante esercito francese, Goffredo Mameli morì di gangrena gassosa ad una gamba il 6 luglio, in un ospedale improvvisato situato dall’altra parte del Tevere, vicino a San Paolo alla Regola, dove una lapide lo ricorda.
Mancavano due mesi al suo ventiduesimo compleanno (era nato il 5 settembre 1827).
Un’altra lapide – oggi quasi invisibile a causa del sequestro giudiziario cui è stato sottoposto il Casinò dei Quattro Venti, costruito al posto della distrutta villa —, recita parole assai forti e insolite: «Garibaldi e i suoi prodi qui energicamente pugnarono per la libertà di Roma e d’Italia – Sparta ricorda i suoi Trecento e Leonida – Roma antica i suoi Fabbi (sic) – Roma moderna mostrava qui al mondo uguale virtù».
Meno di due anni prima, Mameli, nato a Genova da padre sardo, aveva composto il Canto degli Italiani e lo aveva mandato a Michele Novaro, direttore del Coro del Teatro Regio e del Teatro Carignano, che lo aveva musicato.
Il libro di Umberto D’Ottavio (Cerignola, Foggia, 1961), dal titolo L’Inno di Mameli. Una storia lunga 170 anni per diventare ufficiale, pubblicato ora da Neos Edizioni, ripercorre la vicenda dei centosettanta anni esatti trascorsi da allora a quando, un anno e mezzo fa, il Parlamento legiferò per rendere definitiva la scelta del Canto come inno nazionale d’Italia.
L’autore, protagonista giustamente fiero di questo percorso, racconta anche la vicenda sia artistica che politica del Canto degli Italiani, talvolta ingiustamente criticato, ma adesso simbolo indiscusso di un’identità italiana molto complicata e più solida di quanto appaia.