la Repubblica, 15 luglio 2019
Quello che i corvi ci dicono
Odino, padre degli uomini e degli dei, aveva assunto sembianze umane, ma ne era risultato un essere imperfetto. Non vedeva bene, dato che possedeva un occhio solo, ed era smemorato e poco attento. Al suo fianco aveva una coppia di corvi: Higin ("il Pensiero") e Munin ("la Memoria"). I due uccelli stavano appollaiati sulle sue spalle e ogni giorno volavano sino all’estremità della Terra per tornare alla sera e raccontargli ciò che avevano visto. Odino aveva anche due lupi accanto a sé. Secondo Bernd Heinrich, il più importante studioso dei Corvi imperiali (Corvus corax), l’associazione uomo-dio, corvi e lupi rende esplicita un’antica vicenda dell’umanità. I corvi sarebbero l’aspetto intelligente della terna, i lupi coloro che procurano il cibo, mentre Odino, che si esprime solo in versi e beve vino, ne è la componente eterea. Nell’età preistorica l’umanità, composta di cacciatori-raccoglitori, viveva in associazione con questi due animali in un’alleanza di caccia cessata quando l’uomo è divenuto pastore e agricoltore. Così che i corvi da consiglieri, dotati di intelligenza e curiosità, si sono trasformati in nostri concorrenti, e i discendenti dei lupi in fedeli e sottomessi amici: i cani che vivono nel villaggio. Centinaia di migliaia di anni fa dall’Africa, di cui era originario, l’uomo si spostò verso nord per seguire mandrie enormi di megaloceri, grandi cervi scomparsi, di uri, bovini estinti, e di mammut. Il corvo lo accompagnò per tutto questo periodo nutrendosi dei resti degli animali uccisi, e divenendo un avvisatore di animali da cacciare e abbattere. Nelle ere glaciali il ponte tra l’Asia e l’Alaska permise ai nostri antenati di raggiungere il continente americano e di scendere verso sud. Il corvo fu con loro. Nella storia evolutiva nessun animale aveva mai incontrato un cacciatore così terribile, spietato e feroce come l’uomo. Tuttavia c’è il sospetto che il corvo fosse già lì, arrivato prima di noi, seguendo proprio i lupi. Lo si ritrova nei fossili del Miocene e sue tracce sono presenti nel Plestiocene. Heinrich, biologo, nato nel 1940 in Germania nel pieno della Seconda guerra mondiale, trasferitosi negli Stati Uniti, dove è diventato un eminente studioso, ha dedicato parte della sua vita a studiare questo volatile intelligente, curioso, acuto, strano e pieno di sorprese. I corvidi appartengono ai Passiformi; pur mancando dell’armamentario dei rapaci, sono dei grandi e opportunisti mangiatori di carne. Come noi uomini sono onnivori: insetti, carcasse in decomposizione, pomodori, patatine al formaggio, escrementi dei cani e altro ancora. Sono estremamente ingegnosi nel procurarsi il cibo, tuttavia è il fatto di mangiare carcasse che li ha resi così detestabili. Primo Levi, appena tornato da Auschwitz, scrive due poesie per manifestare tutta la propria repulsa verso questi divoratori di cadaveri. In molte religioni e mitologie del passato il corvo è considerato un portatore di morte, animale maledetto, come in Cina e in Giappone, mentre nella Genesi è al corvo che Noè affida il compito di vedere se il Diluvio è davvero terminato. Che i corvi siano straordinariamente perspicaci, probabilmente i più intelligenti tra i volatili, ma anche tra gli animali in generale, lo racconta Konrad Lorenz nel suoL’anello di Re Salomone, dove compare Roa, il suo corvo, che ruba la biancheria intima dei vicini. Oggi i corvi sapienti si chiamano Golia, Pennabianca, Ciuffo, Uncino e Houdi. Sono i nomi di quelli allevati e seguiti per anni da Heinrich, protagonisti di due libri straordinari: Corvi d’inverno e La mente del corvo.
Questo animale, che spesso confondiamo con la cornacchia, vive a lungo, fino a cinquant’anni, marca il proprio territorio e lo presidia con costanza, ma vola anche in stormo con gli altri, e soprattutto è in grado di avvisare i propri simili della presenza di animali morti da condividere. Non ha paura dei lupi o delle aquile; a queste ultime tira la coda, e saltella vicino ai lupi che mangiano animali morti. Percorre distanze lunghissime, ed è capace di riconoscere gli esseri umani, e di attaccarli, se ha memorizzato loro atti ostili. La storia raccontata da Hitchcock in Uccelli è ovviamente inventata, tuttavia contiene elementi di verità. In un mito dei nativi americani il colore nero delle penne del corvo è collegato all’imperfezione del mondo. Prima dell’avvento degli uomini, quando il mondo era solo ai suoi albori, il Dio-Corvo era bianco come la neve. Lui creò le montagne e la sua anima era piena di luce e di bellezza, ma il suo gemello nero geloso tentò di ucciderlo a frustate. Allora Corvo Bianco lo abbatté. Poi assalito dal senso di colpa diventò, anche a causa del sangue del gemello che l’aveva macchiato, tutto nero. Da allora i corvi sono così: segno dell’imperfezione del mondo stesso. Heinrich, che in origine era entomologo, oltre che campione di corsa, li ama spassionatamente. Ha studiato per anni la loro intelligenza, dimostrando la simbiosi dei corvi con i lupi nei parchi americani, e la plasticità della loro mente. Attraverso una serie di esperimenti ha mostrato come i corvi siano capaci di rappresentazioni mentali, che permettono loro di risolvere dilemmi legati al recupero del cibo, e non solo. La parte finale de La mente del corvo è dedicata a descrivere le forme di immaginazione e di pensiero di questo volatile privo di parola.
Noi uomini ci siamo evoluti, scrive Heinrich, grazie alla costruzione del linguaggio, ma esistono forme di immaginazione creativa che non richiedono alcuna consapevolezza. Il pensiero si radica nel sistema nervoso, diventa automatico e non è più necessario prendere decisioni per farlo accadere, salvo per la prima “via” iniziale. I corvi, si domanda Heinrich, provano emozioni? La risposta è sì. Noi non possiamo comprendere appieno la loro mente, però sappiamo che provano qualcosa che somiglia alla paura, all’irritazione, alla curiosità, mostrano capacità di visualizzazione e di possedere un pensiero che non conosce le parole. E tuttavia anche “parlano”, tanto che lo studioso tedesco-americano e i suoi colleghi hanno identificato le varie espressioni del loro gracchiare. Come il corvo dell’omonima poesia di Edgar Allan Poe, questi volatili dicono qualcosa che noi possiamo intendere: “Nevermore”, “Mai più”.
Cosa leggere. Il primo libro tradotto in italiano di B. Heinrich è stato Corvi d’inverno (tr. it. Di M. Suatoni, Ricca Editore, 2017) con presentazione di S. Bigi ed E. Alleva, diario delle sue ricerche nel Maine; di recente è uscito La mente del corvo (tr. it. V. Marconi, Adelphi), summa di oltre 500 pagine; di Heinrich si può leggere anche: A Year in the Main Woods (Da Capo Press); sulla mente degli animali il fondamentale: D. R. Griffin, Menti animali (tr. it. E. Cambieri, Bollati Boringhieri) e il classico: K. Lorenz, L’anello di Re salomone (tr.it. di L. Schwartz, Adelphi).