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 2019  luglio 15 Lunedì calendario

Storia del Metropol di Mosca

«Uno scandalo attorno a una trattativa segreta? No, non ne abbiamo sentito parlare». Il concierge Artiom scuote la testa e arrossisce. Anche la hostess che in un impeccabile abito cipria ci fa strada nella hall alza le spalle. In oltre centodieci anni di storia, sono altre le vicende che hanno fatto scalpore tra gli stucchi dorati e le vetrate liberty del leggendario hotel Metropol di Mosca. Come quella volta che il giovane poeta Serghej Esenin dichiarò il suo amore alla ballerina Isadora Duncan di 23 anni più grande.
A un passo da Piazza Rossa e Cremlino, il Metropol è stato sempre il posto dove andare. Sin dal 1905, quando il ricco mecenate Savva Mamontov lo trasformò da centro termale ad albergo di lusso. Finché nell’ottobre rivoluzionario, l’hotel non fu quasi distrutto dall’artiglieria. I bolscevichi allora lo trasformarono nella “Seconda Casa dei Soviet”, la prima era all’hotel National. Lenin tenne il discorso d’insediamento sotto la cupola Art Nouveau che oggi ospita il ristorante. E le stanze furono invase da funzionari austeri incuranti degli sfarzi. Come Nikolaj Bucharin che viveva con un cane, una scimmietta e un piccolo orso nella stanza 205, oggi suite 2240 al cui pianoforte si dice che Michael Jackson abbia composto “Stranger in Moscow”.
Con Stalin, che nelle sue sale giocò a scacchi con Mao Tsetung, il Metropol tornò alla sua funzione originaria. Diventò “l’albergo degli occidentali”, unica concessione al lusso oltrecortina per ospitare gli illustri ospiti occidentali. Dai drammaturghi Bernard Shaw e Bertolt Brecht a Marlene Dietrich, da Sophia Loren e Sharon Stone fino a Jfk e Barack Obama. A scorrere le fotografie esposte tra il secondo e il terzo piano, si scopre che non c’è artista, leader mondiale o vip che non abbia soggiornato nelle sue oltre 380 stanze. E non ce n’è una che sia identica all’altra.
Del Metropol ha scritto Bulgakov nel “Maestro e Margherita” e John Steinbeck nel suo “Diario russo”. Boris Pasternak lo cita nel “Dottor Zhivago”. Per gli amanti del romanzo “Un gentiluomo a Mosca”, ricamato da Amor Towles intorno al mito dell’hotel, oggi il Chaljapin Bar propone i cocktail amati dal suo fittizio protagonista, il conte Rostov. Secondo Towles, solo pochi visitatori sarebbero in grado di berli tutti e quattro in un solo incontro. Chi ci riesce può fregiarsi del titolo di “Patriarca”. Chissà se Savoini può vantarsene.