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 2019  luglio 15 Lunedì calendario

I numeri della space economy

Cinquant’anni fa la missione Apollo 11 della Nasa consentì a Neil Armstrong di essere il primo uomo a mettere piede sulla luna. Era il 20 luglio 1969, all’apice della Guerra Fredda che vedeva la corsa allo spazio tra Urss e Usa. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, lo spazio è diventato un business commerciale e la nuova space economy è l’avanguardia dell’innovazione tecnologica. L’anno scorso l’economia dello spazio ha fatturato 360 miliardi di dollari, 320 miliardi di euro, ma secondo Morgan Stanley, grazie al suo tasso di crescita medio del 7% l’anno, potrebbe arrivare a mille miliardi di dollari nel 2040. Intanto anche l’Italia reclama una fetta della torta.
La nuova space economy parte dalla ricerca, sviluppo e costruzione di strutture spaziali e scende sino alla creazione di prodotti e servizi innovativi. Sono molte le ricadute: innanzitutto le telecomunicazioni, a partire dalla telefonia e dal web, la tv via satellite, l’elaborazione dei dati, la mobilità via Gps, l’utilizzo dei dati satellitari per la navigazione, il monitoraggio ambientale, le previsioni meteo. Alcuni analisti distinguono tra un segmento upstream, nel quale sono collocati la costruzione e il lancio delle missioni spaziali, e uno downstream, con la realizzazione e gestione di tutti i servizi che ne derivano, tra i quali i servizi satellitari a terra (111 miliardi) e quelli tv (83 miliardi).
I fondi pubblici sostengono quasi tutto l’upstream, con 71,4 miliardi di euro su 73, e il resto va ai progetti di compagnie commerciali per missioni spaziali con equipaggio. Gli Usa da soli valgono due terzi della spesa pubblica per lo spazio (44 miliardi), seguiti a distanza dall’Unione Europea (10,2 miliardi) tallonata dalla Cina (7,5). La Nasa riceve “solo” 16 miliardi di euro, il 40% del budget americano, ma nonostante il nuovo impulso ottenuto da Obama e Trump la National Aeronautics and Space Administration non ha fondi nemmeno lontanamente paragonabili a quelli degli anni della corsa allo spazio: per le missioni Apollo sulla Luna nel 1966 la Nasa ottenne 5,9 miliardi di dollari, lo 0,72% del Pil Usa, che oggi varrebbero 46 miliardi e mezzo. Da solo il budget Nasa ancora oggi vale comunque quanto la somma di quelli di Ue, Russia, Giappone e India.
Le ricadute nel settore privato vanno di pari passo agli investimenti pubblici. Tra il lancio dello Sputnik sovietico nel 1957 e il 2009, nel mondo esistevano solo una ventina di aziende aerospaziali finanziate da privati. Ma nel 2009 la capsula Dragon di SpaceX, società del magnate Elon Musk oggi noto per le auto elettriche Tesla, portò in orbita il suo primo carico commerciale, un satellite da osservazione terrestre di 50 chili della Malesia. Era la svolta per i servizi spaziali commerciali: dal 2000 al 2018, le società finanziate da capitali privati sono aumentate sino a 375 con circa investimenti per circa 19 miliardi di dollari, cresciuti di 13,8 volte. Ma alle spalle hanno ancora i governi: SpaceX ha ottenuto dalla Nasa la metà circa del suo miliardo di capitale investito. Dal 2000 al 2018 i contribuenti Usa hanno investito 7,2 miliardi di dollari in 67 società private, con il 93% dei fondi pubblici andati ad aziende che si occupano di lanci. Le società private che hanno ottenuto fondi dalla Nasa o dal Pentagono hanno attratto sei dollari di investitori privati per ogni dollaro pubblico. Grazie ai fondi federali sono sorti interi nuovi settori: logistica, missioni interplanetarie, monitoraggio dei rischi spaziali, servizi di trasporto commerciale lunare. Nel futuro, infatti, sono previste basi permanenti sulla Luna, che ovviamente dovranno ricevere forniture stabili dalla madre terra.
Il modello dei finanziamenti pubblici Usa ha fatto scuola: l’Unione Europea dedica alla space economy una fetta degli 80 miliardi investiti nel 2014-2020 dal programma Horizon 2020, gestito in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea (Esa). Sono fondi aggiuntivi a quelli di Esa, che quest’anno ha un budget di 5,72 miliardi, di cui 1,25 pagati dalla Ue e 4,18 dai singoli Paesi in base al loro prodotto interno lordo. L’Italia è il terzo contributore nazionale, con 402,2 milioni pari al 10,1%.
L’Italia ha poi un proprio piano strategico nazionale per la space economy, gestito dal ministero dello Sviluppo economico, che prevede un investimento di circa 4,7 miliardi, di cui circa il 50% coperto con risorse pubbliche, tra nazionali e regionali, aggiuntive rispetto al budget dell’Agenzia spaziale italiana. Sono cinque le linee programmatiche, con l’obiettivo di valorizzare al massimo l’impatto economico: le tlc satellitari, il supporto al progetto spaziale Ue Galileo, l’infrastruttura di navigazione satellitare europea, il supporto alla missione Copernico e le tecnologie connesse all’esplorazione spaziale. Il settore dà lavoro a circa 6mila addetti, con un fatturato di 1,4 miliardi e investimenti pubblici passati dai 350 milioni del 2015 ai 900 di quest’anno, per i quali è previsto un ritorno di 4 euro ogni euro di fondi pubblici allocati.
Intanto la corsa allo spazio è ripartita. Ieri l’India ha inviato sulla Luna un rover automatico e la Cina vuole una propria stazione spaziale permanente entro il prossimo anno, dopo che il 3 gennaio ha fatto allunare con successo un rover sulla faccia nascosta del nostro satellite. Gli Usa rispondono con Artemis, il programma della Nasa che punta a riportare l’uomo sulla Luna entro il 2024 e ha un budget extra di 1,6 miliardi di dollari. E Marte? A marzo, il vicepresidente Usa Mike Pence ha dichiarato che “astronauti americani dovranno camminare a ogni costo sul pianeta rosso entro la fine del 2024”. Altri dicono che sarà impossibile prima del 2033. Vedremo chi avrà ragione.