Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2019
Tutto ciò che non fu Charles Darwin
Le teorie e i metodi pensati e usati da Darwin per organizzare i fatti dell’evoluzione, sono stabilmente a fondamento delle scienze della vita. L’opera dello scienziato inglese spicca a fianco di quelle dei più grandi in assoluto, come Isaac Newton, vicino di tomba nell’Abbazia di Westminster. Invece di domandarsi quali siano le implicazioni anche per le scienze umane e le discipline umanistiche del pensiero darwiniano, tra gli intellettuali e a livello popolare ci si domanda ancora se quelle idee siano compatibili con talune credenze religiose, filosofiche o politiche. Per esempio, se Darwin fosse socialdarwinista (conservatore), o razzista, o progressista, o ateo? Tutto regolare: la teoria della selezione naturale prevede che il pensiero umano non si sia selezionato in prima istanza per capire la verità dei fatti e farne uso senza pregiudizio, ma per ingannare e auto-ingannarsi allo scopo di fare più figli.
Nella originale antologia di pagine darwiniane, lo storico della scienza Pietro Corsi mette a fuoco con giusto distacco, evitando di fare di Darwin «uno dei noi», idee, metodo e risultati, incluso quel che il nostro pensava di questioni religiose, socio-economiche, politiche, etc. Corsi racconta che Darwin seguiva con qualche apprensione le discussioni che tentavano di usare le sue idee per condurre battaglie ideologicamente motivate, e si guardò «dal lasciarsi trascinare in derive» speculative polarizzate.
«Darwin era pienamente un uomo del suo tempo», scrive Corsi. Condivideva costumi e pregiudizi diffusi nell’Inghilterra vittoriana. Pensava che le donne fossero in generale meno intelligenti degli uomini, e che la preoccupazione degli eugenisti ante-litteram per il declino demografico delle aristocrazie bianche e intellettualmente superiori avesse un senso. Giudicarlo alla luce del politicamente corretto è anacronismo ridicolo. Darwin era materialista e pensava che i tratti intellettivi e morali fossero il portato dell’evoluzione, per cui ogni questione sulla natura umana e le sue espressioni sociali, oggetto di controversie pubbliche, era da lui soppesata con argomenti e contro-argomenti nel quadro di un atteggiamento prudente, ma fondato sulla sua teoria della «discendenza con modifiche».
In un celebre passaggio de L’Origine dell’Uomo, riconosceva che la medicina stava tenendo in vita individui di «costituzione debole», consentendo loro di riprodursi, mentre allo stato selvatico la selezione naturale avrebbe premiato i più forti. Darwin aveva capito, però, che la selezione naturale ci ha dotati di un «istinto di simpatia», da cui discende la moralità umana, e che ci porta ad aiutare i più deboli: se dovessimo rinunciare a tale sentimento perderemmo la parte più nobile della nostra natura. A meno di un «beneficio contingente», per cui ammetteva una limitazione della libertà di matrimonio per i meno performanti.
Si arrabbiava, ricorda Corsi, quando le sue idee erano usate per difendere lo schiavismo, mentre lui apparteneva a una famiglia da sempre anti-schiavista. Ma è ridicolo dire che Darwin era «progressista». Anche se aveva capito che le razze umane non sono specie distinte, non gli si può attribuire di aver provato che le razze umane non esistono, prima della genetica. Egli ragionava all’interno di una teoria del cambiamento evolutivo imperniata sulla variazione come presupposto per la selezione, per cui i gruppi umani che avevano avuto più o meno successo secondo i parametri culturali, sociali ed economici del mondo occidentale, gli apparivano anche quelli superiori, rispetto a comunità arretrate o semi-selvatiche che egli aveva incontrato durante il viaggio sul Beagle. Significativa, l’evoluzione del suo pensiero sugli abitanti della Terra del Fuoco, i Fuegini: incontrandoli nel 1831 li giudicò «non domesticati» e prossimi ad animali, mentre a seguito dell’educazione inglese si rese conto che «somigliano a noi nella disposizione e nella maggior parte delle facoltà mentali» (1871).
Darwin voleva starsene alla larga dalle questioni politico-sociali e politico-economiche. La dottrina liberista metteva l’enfasi sulla competizione e L’origine delle specie fu salutato come un argomento naturalistico a favore dell’imprenditoria capitalista e contro le idee di cooperazione o carità. Darwin di fatto non accettò di essere tirato in ballo né dai liberisti né da Marx, rifiutando la dedica de Il Capitale. Nondimeno, in una lettera del 1872 criticava le «Società Cooperative» in quanto escludevano la competizione.
L’antologia curata da Corsi introduce alla vita di un grande scienziato, totalmente dedito alle sue ricerche teoriche e sperimentali e dotato di una conoscenza naturalistica immensa. Quello che di Darwin conosciamo meglio non è necessariamente ciò a cui il naturalista ha dedicato più tempo ed energia, o dove ha dispiegato i suoi migliori virtuosismi scientifici. A questa lacuna l’antologia supplisce proponendo, oltre a pagine classiche, testi tratti fra altri dagli studi sui cirripedi, sulle variazioni di animali e piante allo stato domestico o facendoci conoscere il Darwin geniale botanico. E si capisce dalla forza esplicativa di questi testi perché il più grande fisico dell’Ottocento, Ludwig Boltzman, scrisse che l’Ottocento sarebbe stato ricordato come il «secolo di Darwin», non di altre scienze o tecnologie.