Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2019
Curiosare nella mente di Leonardo
La schiena dell’uomo intento a misurare il mondo con un compasso brilla nel sole del mattino. Da quando la biblioteca ha abbandonato la mitica sala circolare del British Museum, questa enorme statua presidia la piazza davanti alla British Library. Appena si entra in biblioteca si ha subito la sensazione di essere all’interno di una meravigliosa macchina per la conservazione della cultura scritta: le diverse sale di lettura sono distribuite attorno a una torre di vetro di sei piani con a vista i dorsi dei libri di re Giorgio III.
Negli spazi comuni, da qualche anno, sono comparsi tavoli, postazioni di lettura, divani. È un segno, forse, del modo in cui la biblioteca si sta adattando alla digitalizzazione del sapere, potenziando il suo essere anche un luogo di incontro, di scambio di idee. Muoversi in questi ambienti trasmette un forte senso di fiducia nella ricerca. Poche biblioteche al mondo restituiscono così bene l’idea di voler accogliere e rendere fertile, potenzialmente, tutto il sapere: quello antico come quello contemporaneo.
Per questo, la British Library è un luogo particolarmente adatto per una mostra sul pensiero di Leonardo da Vinci: sulla sua inesausta curiosità, ricchezza di idee, profondità di visione. La biblioteca possiede, d’altronde, uno dei più importanti codici di Leonardo, il codice Arundel: 283 fogli che contengono appunti presi in circa quarant’anni, da quando Leonardo era un giovane pittore appena uscito dalla bottega del Verrocchio, a Firenze, sino a quando, venerato, si ritira ad Amboise su invito del re di Francia. Il codice contiene annotazioni di geometria, di ottica, di geologia, studi sulle acque, ma anche note personali, disegni. Leonardo lo iniziò per cercare di mettere ordine tra le sue carte, copiando appunti presi altrove con il progetto, poi non realizzato, di una sistemazione per temi della miriade di osservazioni fatte nel tempo. È lui stesso a dirlo nella pagina d’apertura: «Questo fia un racolto sanza ordine, tratto di molte carte le quale io ho qui copiate, sperando poi di metterle per ordine alli lochi loro, secondo le materie di che esse tratteranno».
L’Arundel è uno degli oltre venti codici leonardiani giunti sino a noi (senza contare le centinaia di fogli sciolti). È grazie a queste carte – non ai quadri – che possiamo conoscere la ricchezza del pensiero di Leonardo. Per questo, poterne osservare da vicino alcune è, oltre che un’emozione, un privilegio raro: anche i quadri che conosciamo ci appaiono in una luce diversa; come la parte più visibile – ma paradossalmente non centrale – di una prodigiosa ramificazione di osservazioni mosse dalla volontà di investigare la natura in tutte le sue forme.
Il titolo della mostra – A Mind in Motion – rimanda proprio a questo: alla curiosità insaziabile nella ricerca delle leggi segrete della natura, a partire da quelle del movimento. Come mi dice Stephen Parkin – tra i responsabili delle Printed Heritage Collections (1450-2000) della biblioteca e curatore, insieme a Juliana Barone e Andrea Clarke, della mostra – l’idea di concentrarsi su questo aspetto è nata in seguito alla disponibilità di Bill Gates a prestare alla British Library il codice Leicester (da lui acquistato nel 1994) per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo. Il Leicester è un codice più organico rispetto all’Arundel ma molto più esile: trentasei fogli in cui Leonardo organizza le proprie idee attorno al movimento delle acque, ai fossili, alle modificazioni geologiche, ai corpi celesti.
È a partire da questi temi che i curatori hanno selezionato i fogli del codice Arundel da mettere in mostra. In questo modo al visitatore è offerta la possibilità di osservare, in originale, diversi aspetti del laboratorio di Leonardo: non solo la vastità delle sue osservazioni ma anche il metodo attraverso cui esse si realizzavano.
Non c’è quasi foglio che non abbia disegni. E questo anche perché l’osservazione aveva un ruolo fondamentale. Gli studi sul movimento dell’acqua permettono di cogliere meglio di altri questa connessione tra disegno e scrittura. L’acqua offriva la possibilità, rara per il tempo, di poter vedere l’energia cinetica. Così nel codice Leicester alcune pagine sono dedicate al modo in cui l’acqua si distribuisce quando, impetuosa, incontra un ostacolo: i disegni che Leonardo affianca alla scrittura rendono perfettamente la tensione tra spinta e attrito.
Queste osservazioni servivano anche a ragioni pratiche: spezzare la forza dell’acqua permetteva di elaborare soluzioni per proteggere gli argini dei fiumi dall’erosione. In alcuni fogli del codice Arundel, si esplora anche la possibilità di deviare il corso dell’Arno: qui la portata dei diversi corsi d’acqua è resa con tratti più o meno intensi di gesso rosso, lo stesso che Leonardo usava per i volti o gli animali.
Il dialogo tra le carte dei due codici mette in evidenza anche la loro diversità. I fogli del Leicester sono in una scrittura posata, fatta nello studio, con i disegni disposti ordinatamente sui margini; quelli del codice Arundel sono disomogenei, alternano belle copie e appunti veloci. In un foglio Leonardo traccia una tavola per le proporzioni accanto a studi di figure per L’ultima cena; in un altro copia in pulito il funzionamento di uno strumento di sua invenzione per respirare sott’acqua.
Inutile dire che leggere gli originali è difficilissimo senza uno specchio: dopo poche parole il cervello – almeno il mio – si rifiuta di proseguire. Ma leggere la scrittura di Leonardo è fondamentale per entrare pienamente nel suo pensiero: oggi, fortunatamente, disponiamo di ottimi strumenti per farlo (nel portale E-Leo, ad esempio, ogni codice può essere letto in trascrizione di fianco alla riproduzione dell’originale). Leonardo era comunque anche in grado di scrivere normalmente: lo si vede in uno dei fogli del codice Arundel in cui ricorda l’arrivo di un nuovo allievo, evidentemente perché altri potessero leggere.
Questa dimensione quotidiana della bottega appare anche da un altro codice che la biblioteca è riuscita ad avere dal Victoria and Albert Museum: un piccolo quaderno noto con il nome di codice Forster II. È uno dei taccuini da tasca che Leonardo portava con sé nei suoi spostamenti. Nella doppia pagina visibile sotto la teca si vedono i disegni di due piccole macchine spiraliformi, legate agli studi sul moto perpetuo. Un disegno simile si ritrova anche nel codice Arundel, in un foglio nel quale Leonardo aveva schizzato anche altro: il profilo di un occhio, con tanto di ciglia, che osserva.