Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2019
Dismissioni, arriva il decreto da 1,2 miliardi
Passerà da Invimit metà del piano di dismissioni immobiliari previsto dalla manovra per raccogliere 1,25 miliardi in funzione anti-deficit. Alla sgr del Tesoro sarà creato il Fondo Dante, con immobili per 500 milioni di euro in genere già messi a reddito che si aggiungono ai circa 100 milioni in vendita tramite aste. La seconda fetta importante sarà affidata all’agenzia del Demanio, che metterà sul piatto oltre 1.600 beni, divisi in due famiglie: per oltre 400 immobili o terreni di valore unitario importante, che costituiscono il cuore di questa parte dell’operazione, è pronto il bando di gara, e il pacchetto si completa con altri 1.200, che non arrivano in genere a 100mila euro ciascuno. La terza mossa è più ridotta nei valori e spetta al ministero della Difesa, che ha costruito una lista di 41 caserme da far confluire nel piano.
Il provvedimento che dà attuazione al programma, un decreto ministeriale che si accompagna a un decreto di Palazzo Chigi, ha appena superato l’esame della Corte dei conti e tutto è pronto per il via libera finale in settimana. I tempi sono stretti perché i primi 950 milioni del piano dovranno confluire nei saldi di quest’anno, in base ai numeri concordati a dicembre con Bruxelles e confermati nel Def di aprile.
Un prologo dell’operazione in realtà è già partito, con l’avvio da parte di Invimit di aste gestite direttamente dalla Sgr del Tesoro e rivolte a privati per la vendita di una serie di appartamenti e uffici in diverse città, con una netta prevalenza di Roma. Un meccanismo nuovo, che vede la società di gestione del risparmio impegnata direttamente nel rapporto con i “clienti” a cui offre assistenza e informazioni sul web e tramite un numero verde (800.190.569).
E proprio dalla società del Tesoro passerà uno degli snodi chiave del piano. Che ambisce a sfruttare l’occasione della “emergenza contabile” determinatasi a dicembre per avviare un percorso di valorizzazione a lungo termine. Invimit ha definito una griglia di criteri precisi per gli immobili destinati a confluire nel fondo Dante. I riflettori si sono accesi su beni preferibilmente con valore di mercato superiore ai 5 milioni di euro, meglio se già affittati anche se bisognosi di interventi di valorizzazione per metterli in grado di produrre un reddito più significativo. E nell’impresa rientrano anche immobili non utilizzati che oggi pesano sui bilanci pubblici, ma che dopo una ristrutturazione e un cambio di destinazione d’uso possono migliorare il livello di commerciabilità e creare opportunità di sviluppo sul territorio. Nelle settimane scorse una serie di incontri ha coinvolto oltre agli enti previdenziali anche alcune casse professionali per verificare l’interesse ad apportare beni al fondo.
Ma la selezione è stata attenta per tutti i filoni del piano. Al Demanio hanno ricostruito e passato al setaccio le schede di oltre 55mila beni che la Pa possiede ma non utilizza per le proprie attività istituzionali. Anche in questo caso, l’intenzione è di trasformare il piano dismissioni in una prima mossa per progetti più a lungo termine.
L’operazione sul mattone pubblico coinvolge direttamente anche gli enti territoriali in una duplice veste. Come fornitori di immobili ma soprattutto come autori dei passaggi burocratici in molti casi indispensabili a creare le condizioni per una valorizzazione effettiva dei beni. Ai sindaci tocca il compito di far camminare le varianti urbanistiche e i cambi di destinazione d’uso che spesso hanno un ruolo determinante per far crescere il valore dell’immobile. In cambio del loro intervento, il progetto offre ai Comuni offre un “premio” fra il 5 e il 15% del ricavato dalla vendita degli immobili realizzata anche attraverso il loro aiuto. La rapidità dell’iter che porta dall’intesa alla variante sarà determinante per l’entità del premio, come nel precedente del 2015: il 15% sarà riservato a chi impiega meno di 12 mesi, chi supera i 2 anni dovrà accontentarsi del 5% e alle performance intermedie saranno attribuiti incentivi fra il 10 e il 13%. Ma gli accordi con gli enti locali serviranno a fissare fin dall’inizio su binari precisi la procedura, perché ogni Protocollo individuerà «i beni oggetto di valorizzazione, le ipotesi di trasformazione, la quota premiale e i tempi di perfezionamento della procedura urbanistica».